Il nostro futuro

Intervista a Alec Ross

«Sono stato uno studente povero, i miei genitori non potevano permettersi di mantenermi l’estate e lasciarmi frequentare gli stage altolocati ma gratuiti degli uffici politici di Washington, quindi ho dovuto farmi le ossa a pulire lo stadio municipale del mio paese dopo le partite di baseball, mentre cercavo la mia strada nel mondo del lavoro».
Parole che hanno un senso soprattutto perché vengono pronunciate da Alec Ross, ex-consigliere per l’innovazione di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato, autore di libri venduti in tutto il mondo e oggi considerato un guru sui temi dell’innovazione e delle nuove dinamiche del lavoro. “We Build Value” lo ha incontrato a margine della presentazione del suo ultimo libro (“Il nostro futuro”) raccogliendo la visione del 44enne. Alla base della sua analisi c’è comunque l’innovazione, e il ruolo che investitori pubblici e privati hanno nel favorire lo sviluppo di alcune aree geografiche dove oggi si concentra il talento.

Quali sono i grandi attrattori di innovazione?

«L’innovazione si trova nelle città o nelle aree dove tanto le aziende quanto i governi hanno investito per favorire i processi di modernizzazione. Guardiamo alla Silicon Valley, un’area larga 30 miglia e lunga 50, che però ha usufruito di miliardi di dollari di investimenti, dando vita così alle aziende più innovative al mondo e attirando talenti da ogni parte del globo. La Silicon Valley non va solo ammirata, ma può diventare un modello da replicare in molti altri luoghi».

Quanto contano le sue origini nella formazione del suo pensiero?

«Moltissimo. Ho iniziato a lavorare come addetto alle pulizie. Spazzavo per terra al termine dei concerti o delle partite di baseball. Il lavoro, agli inizi, mi ha permesso di passare dalla povertà rurale alla povertà urbana, e questo mi ha insegnato moltissimo, soprattutto a capire che ogni giovane ha in mano grandissime potenzialità».

Esiste un luogo privilegiato per il talento?

«Il talento è uguale in tutto il mondo. I giovani americani non sono più intelligenti degli asiatici, degli europei o viceversa, ma la differenza profonda è tutta nello stato mentale. I ragazzi californiani, quelli cresciuti a due passi dalla Silicon Valley, dove trovano un problema lo affrontano e come possono lo trasformano in un business. Conosco personalmente tutti i miliardari della Silicon Valley; alcuni di loro sono dei geni, altri no, ma tutti alle origini della loro storia imprenditoriale credevano profondamente di poter cambiare il mondo. Ed è per questo che ci sono riusciti».

Quali sono i punti fermi su cui un giovane deve costruire il suo percorso lavorativo?

«Possedere un titolo di studio non è più un traguardo, è solo l’avvio di un percorso di aggiornamento che deve durare tutta la vita. Il vecchio modello nel quale la laurea definiva una professione è tramontato di fronte ad un mondo lavorativo che è dominato dalla mobilità non solo dell’impiego, ma anche delle conoscenze necessarie per svolgerlo. Per questo chi vuole avere successo in futuro dovrà primeggiare non solo nei risultati, ma anche nel continuo apprendimento delle nuove tecniche».

Singapore
Quali sono i luoghi dove questi processi innovativi sono già ad uno stadio avanzato?

«Ne indicherei quattro. Alcune città della Svezia, Tel Aviv in Israele, Singapore e Seoul in Sud Corea. Sono luoghi dove c’è grande fermento intellettuale e voglia di fare cose nuove. L’atmosfera migliore per l’innovazione».

Non c’è spazio per altri?

«Al contrario, c’è spazio per tutti. La mia tesi è che solo le società aperte possono ambire ad ospitare le industrie del futuro, e ho avuto modo di constatare che la gran parte delle persone che oggi lavorano nei settori che producono maggior reddito come l’hi-tech, sono d’accordo con me. La storia recente ci ha già fornito un riscontro tangibile di questa teoria con il destino divergente di due ex-repubbliche sovietiche come la Bielorussia e l’Estonia. Entrambe hanno guadagnato l’indipendenza nello stesso periodo, ma la prima ha rifiutato di aprirsi al mondo, mentre la seconda ha definito l’accesso all’Internet un diritto costituzionale dei suoi cittadini, alla pari di altri diritti civili. Oggi la prima ha un reddito medio per capite di 7.500 dollari l’anno; la seconda di 18.800 dollari».  

E la Cina?

«La Cina si è aperta al commercio, ma è rimasta chiusa politicamente, e questa scelta l’ha costretta a pagare un grosso costo in termini di mancate opportunità di crescita. Finora il Paese non ha aggiunto nulla sulla scena mondiale della tecnologia. Per sua fortuna le cose stanno ora cambiando nel campo della genomica, dove le aziende cinesi sono all’avanguardia nella collaborazione internazionale. Hanno capito che se non vogliono restare eternamente secondi devono accettare il principio della interconnettività della ricerca».

In questa corsa verso i luoghi più adatti ad accogliere il talento e a sviluppare le industrie del futuro, quale ruolo avranno i Paesi emergenti?

«Riguardo alle opportunità di lavoro, il vantaggio competitivo del quale hanno goduto i Paesi emergenti negli ultimi decenni si è già molto assottigliato ed è destinato a scomparire perché cresce il tenore di vita nei Paesi a nuova industrializzazione e si livellano le paghe. Quello che resterà è un alto livello di competizione tra le nuove qualifiche di lavoro cognitivo. A soffrire non saranno più i Paesi ad alto costo di manodopera ma quelli a basso livello di specializzazione. Ci sarà bisogno di nuovi schemi educativi, di una scuola che si muova in parallelo con l’evoluzione del mondo del lavoro, e di programmi educativi tarati sulle realtà locali. Lungi da me l’idea di incoraggiare gli studenti ad abbandonare la scuola per seguire l’esempio di Bill Gates e di Marc Zuckerberg. Ma per coloro che hanno difficoltà ad accedere ad un sistema educativo di eccellenza, Internet si sta popolando di una enorme quantità di corsi gratuiti di enorme valore formativo».

In definitiva, in quali luoghi il futuro è più vicino?

«Ci sono alcuni Paesi che sono meglio preparati ad affrontare i cambiamenti in arrivo. L’area scandinava al momento è il secondo polo per modernità e innovazione dopo la Silicon Valley. Poi ci sono i Paesi della costa pacifica Sud Americana come il Cile e la Colombia, e ora anche l’Argentina. L’Europa è in buona posizione tra i Paesi del Nord ma anche nei Balcani, e un’area molto interessante è l’Africa Sub-sahariana, che per la prima volta sta passando dallo stato di assistenza all’economia di mercato. E in ultimo i sud coreani, che stanno uscendo da una crisi trentennale puntando sulla robotica. Tanti mercati e tante opportunità per le industrie del futuro».