La città ideale

Intervista esclusiva a Carlo Ratti

«Gli uomini devono avere la duplice possibilità di poter accedere alle delizie della città - con la solidarietà di pensiero e di interessi che essa comporta, con le sue opportunità di studio e di educazione all'arte - e, al tempo stesso, alla libertà che si nutre della natura e si realizza nella varietà dei suoi ampi orizzonti». Alla fine dell’800 Élisée Reclus immaginava una città ideale, una fuga della mente di fronte alle metropoli sovraffollate e inquinate. Oggi, grazie alle nuove tecnologie, la visione del geografo francese potrebbe diventare realtà. È questo che pensa Carlo Ratti, architetto e ingegnere italiano che guida il Senseable City Lab del MIT di Boston, uno dei più importanti centri di studio al mondo dove si elaborano le idee che cambieranno le città e i nostri modi di vivere e di spostarci. A “We Build Value”, Ratti ha raccontato come si evolveranno i centri urbani e le infrastrutture nei prossimi decenni. Dai veicoli autonomi ai droni, anche se l’utilizzo di quest’ultimi «non sarà così diffuso come molti oggi ci fanno credere».

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, da tempo parla di infrastrutture obsolete che devono essere ricostruite in quasi tutti gli Stati Uniti. In che modo pensa sia possibile risolvere questo tema? Crede che la prima economia del mondo sia davvero di fronte a un problema di infrastrutture?

«Sì, è vero. Le grandi infrastrutture degli Stati Uniti - e di molti Paesi europei - risalgono al secondo dopoguerra. Un po’ come i baby boomer, che stanno per andare in pensione tutti insieme, anche esse invecchiano rapidamente e in modo sincronizzato. Anche in questo caso, tuttavia, le tecnologie ci possono aiutare a monitorare meglio la situazione, intervenendo solo dove necessario. Uno dei ricercatori nel nostro gruppo al MIT di Boston sta iniziando a usare i segnali degli accelerometri contenuti nei nostri telefonini per studiare le vibrazioni di un ponte o viadotto, riuscendo a capire in anticipo se ci siano pericoli e sia necessario intervenire sulla struttura. Una medicina personalizzata e meno invasiva anche per le infrastrutture, insomma».

L'industria automobilistica sta profondamente cambiando e forse si trova di fronte alla più grande trasformazione della sua storia: nei prossimi anni ci saranno sempre più auto elettriche e veicoli senza conducente. Crede che anche le strade si evolveranno? E in che modo? Porti e aeroporti sono stati i nodi centrali degli scambi commerciali per secoli. Su quali vie si sposteranno le merci del futuro?

«Le automobili autonome o senza conducente permettono di costruire nuovi sistemi di mobilità. Oggi in media una macchina negli Stati Uniti viene usata solo il 5% del tempo. Il restante 95% invece è parcheggiata, inutilizzata, da qualche parte. Sulla base di alcune ricerche fatte dal MIT abbiamo calcolato che, grazie a un sistema di auto senza conducente, basterebbe il 30% dei veicoli oggi in circolazione per coprire le esigenze di mobilità dei cittadini di una grande città – e che questo numero si potrebbe ridurre di un ulteriore 40% nel momento in cui le persone fossero pronte a condividere i loro spostamenti, applicando quindi delle dinamiche di car sharing. Naturalmente si tratta di numeri teorici, che dipenderanno dall'effettiva propensione alla condivisione.
Tuttavia, le conseguenze potrebbero essere importanti. Nel breve periodo potremmo, per esempio, avere meno spazi legati ai parcheggi che oggi negli Usa coprono un'area grande quanto il Porto Rico. Nel lungo periodo ci potrebbero essere conseguenze sulla infrastruttura di mobilità. Ad esempio, la tecnologia dei semafori risale a 150 anni fa e fu concepita per le carrozze e i cavalli. Con le auto senza guidatore, nuove forme di incroci - basate su “slot” - potrebbero rimpiazzare i semafori tradizionali, con una riduzione significativa in termini di code e attese».

«Credo che porti e aeroporti continueranno a essere centrali nel prossimo futuro. Sulle lunghe distanze, infatti, è difficile immaginare sistemi di trasporto più competitivi - dal punto di vista energetico -  delle navi. Al contrario, non credo che vedremo orde di droni per la consegna di pacchi nelle nostre città. Quello delle macchine volanti è un vecchio sogno, che risale a film come Metropolis all'inizio del Novecento. In realtà credo che non si realizzerà mai, a causa delle leggi della fisica. Per mantenere un chilogrammo sospeso a mezz'aria è necessario spostare una grande quantità d’aria a velocità sostenuta. Per questo motivo gli elicotteri consumano così tanto carburante e fanno così tanto rumore. I droni in futuro saranno utili per missioni di emergenza o per trasportare sensori, ma non come infrastruttura logistica su grande scala. Credo invece che vedremo molti sistemi autonomi per le consegne dell’ultimo miglio – piccoli robot che possono trasportare un pacco fin davanti alle nostre case».

Nel ventesimo secolo l'efficienza dei trasporti e delle comunicazioni ha privilegiato le nuove città americane rispetto alle vecchie città europee, costruite in tempo di cavalli e carrozze. La città intelligente sarà in questo senso un equalizzatore, o richiede una particolare configurazione urbanistica?

«Non possiamo generalizzare, ma credo che le nuove tecnologie possano essere una grande risorsa per le città europee, che spesso non hanno potuto adattarsi alle tecnologie e infrastrutture pesanti del secolo scorso. Le nuove tecnologie, leggere e invisibili, costituiscono un layer capace di sovrapporsi a qualsiasi ambiente costruito. Direi che questo vale ad esempio per le flotte macchine senza conducente, che potrebbero liberare spazi tanto più preziosi nei congestionati centri urbani europei».

Harbour Bridge, Sidney
I suoi studi come tanti altri che riguardano il futuro, prevedono un tasso elevatissimo di urbanizzazione. Cosa sarà dalle campagne e dei piccoli insediamenti rurali? Ci sarà anche per loro un futuro intelligente?

«In realtà noi ci interessiamo al territorio antropizzato in generale – che si tratti di città o di campagna. Credo che anche in futuro avremo città grandi e città piccole, aree urbane ad alta densità e aree rurali scarsamente abitate. Mi piace pensare che le nuove tecnologie ci permetteranno di vivere meglio nelle città grandi».

La lettura e la manipolazione dei megadata presuppone organi centrali sempre più grandi e potenti per poterli usare al meglio. Ci sarà un ruolo anche per l'accesso democratico e individuale ai dati?

«I dati non sono niente di nuovo. Quello che sta cambiando è semplicemente la mole di informazioni che abbiamo oggi a disposizione. Oltre ad aggiornarci in tempo reale su quanto accade in un determinato ambiente urbano – dati sul traffico o sul meteo, per esempio - possono promuovere un comportamento più etico, dettato dalla consapevolezza. Lo abbiamo visto, ad esempio, con Trash Track, un progetto connesso al tema dei rifiuti che abbiamo realizzato al MIT Senseable City Lab. Abbiamo tracciato 3.000 rifiuti mediante etichette elettroniche e ne abbiamo mappato il viaggio in giro per gli Stati Uniti. Abbiamo notato come alcuni volontari, una volta presa coscienza del percorso realizzato da una bottiglia di plastica, abbiano autonomamente deciso di aumentare l’uso del vetro a discapito della plastica.

In altri termini i dati raccontano la nostra vita e – se accessibili – ci permettono di riflettere su di essa e potenzialmente di cambiarla. E proprio l’utilizzo di questi dati, unito alle nuove tecnologie legate alla mobilità, contribuirà a dare una spinta ulteriore allo sviluppo delle infrastrutture, rendendo il loro ruolo ancora più prezioso per la collettività».