Canopy, un tetto che danza con il vento

IL TETTO CHE SOVRASTA LA STRUTTURA È UN PRODIGIO DELLA SCIENZA INGEGNERISTICA

Ogni artista ha il suo capolavoro; ogni opera d’arte la sua opportunità di essere ricordata per le emozioni che trasmette.
Lo Stavros Niarchos Foundation Cultural Center ne ha tanti di capolavori, ma quello che colpisce di piu è sicuramente il Canopy, un tetto collocato sopra l’edificio principale, e danza al soffio del vento, nonostante una superficie di due skin da 10.000 metri quadrati e 3.500 tonnellate di peso.

Nella sua visione, l’idea di Renzo Piano era quella di avere un elemento solido, sospeso sull’opera come un quadro metafisico. Il risultato di questa idea visionaria è un guscio costituito da due “pelli” arcuate realizzate interamente in ferrocemento, il materiale amatissimo da Pier Luigi Nervi e poco utilizzato oggi perché richiede una enorme manodopera.
«Le due superfici che formano il guscio – spiega Giovanni Botteon di Salini Impregilo e project manager della joint venture che ha realizzato l’opera – sono sorrette da 30 sottilissime colonne del diametro di 30 cm ciascuna. All’interno del guscio, un complesso sistema di tubi intrecciati e ammortizzatori tiene stretto il guscio e mantiene la forma d’ala. Accettare la sfida di fare questo Canopy come Renzo Piano l’aveva concepito è stata l’arma vincente per aggiudicarsi il progetto, che molti avevano considerato “irrealizzabile”».

Capacità tecnica, maestria artigianale, perfezione nei dettagli, sono i principali requisiti che vivono in ogni centimetro quadrato del guscio che sovrasta l’opera.
Un’enorme superficie che ricorda un campo da calcio, ottenuta assemblando 720 pannelli di ferrocemento di una dimensione di circa 7 metri per 3,5, ciascuno. Ogni pannello è dotato di una curvatura particolare che lo rende unico e quindi posizionabile solo in un determinato punto del Canopy.
«Per arrivare alla modalità di esecuzione del Canopy – racconta Botteon – ci è voluto un anno di studio, con una lunga serie di prove fisiche fatte sui materiali. Tutto è iniziato all’interno di una piccola officina laboratorio, poi – una volta iniziata la produzione – abbiamo realizzato all’interno del cantiere uno stabilimento di 4mila metri quadri coperti con due linee di montaggio e in sei mesi abbiamo prodotto tutti i pannelli, uno per uno, con un lavoro certosino che in alcuni momenti ricordava quello delle botteghe rinascimentali. E il risultato è stato davvero unico al mondo».

Canopy, un tetto che danza con il vento


L’unicità di ogni pannello (spesso non più di 3,5 centimetri) ha richiesto un lavoro incredibile e l’utilizzo di uno strumento topografico con cui ogni pannello veniva fotografato e dotato di coordinate geografiche che avrebbero dovuto essere rispettate una volta posizionato sulla struttura. Grazie a questo sistema di riconoscimento, ogni pannello è stato posizionato al punto giusto, con una precisione assoluta e una tolleranza inferiore ai 2 millimetri.
Un lavoro sartoriale – lo definiscono oggi all’interno del cantiere – con alcuni passaggi di artigianato puro, come quando 300 persone sono state impegnate a montare su ogni singolo pannello un’impalcatura, costituita da 8 strati di rete elettrosaldata, tanto piccola e fitta da assomigliare a una zanzariera.

«Durante una delle sue visite al cantiere – ricorda Gianni Botteon – Renzo Piano ha visto con quali complessità veniva allestito il Canopy ed è rimasto senza parole di fronte a tanta capacita artiginale espressa in un’opera cosi imponente, che stava concretizzando l’idea visionaria dell’artista».
Nel settembre del 2015 questo “capolavoro unico” ha cominciato a galleggiare nell’aria, muovendosi sotto l’effetto del vento e delle escursioni termiche.
A questo punto il lavoro è passato alla finitura della superficie inferiore del guscio per la quale Renzo Piano aveva espresso il desiderio di vederla “brillare come il cofano di una Cadillac”. Un’altra sfida vinta grazie al lavoro degli operai, molti di loro provenienti da cantieri navali, che hanno lavorato la superficie fino a farla diventare bianca e lucida.

La parte superiore del guscio è stata invece interamente ricoperta da pannelli fotovoltaici, che permettono al Centro di autoalimentarsi energeticamente in condizioni ordinarie, e sovrastata dal Mast, un albero alto 40 metri.
«Il compito del Mast – spiega il project manager – è dare il senso del vento, quindi flettersi con una curvatura speciale, sotto una precisa spinta. E dare così ancora una volta la percezione del movimento».
Un’altra storia nella storia perché il pennone (40 centimetri di diametro alla base e solo 8 in testa) è stato realizzato da una società di Genova che costruisce alberi per barche a vela. E dopo oltre un anno di progettazione, necessario per trovare i materiali e le misure giuste che permettessero la corretta curvatura, il Mast ha cominciato a flettersi di fronte al mare. E a indicare a tutti la posizione del Centro.

Copyright © Moreno Maggi by Salini-Impregilo per tutte le immagini del Numero Speciale “Il Nuovo centro Culturale ad Atene”