Il modello cileno per il trattamento delle acque

Il Cile è leader mondiale nel trattamento delle acque reflue urbane

«Un Cile migliore si costruisce con maggior sicurezza per la nostra agricoltura». Con questo tweet, pubblicato il 14 novembre scorso, la Presidente della Repubblica cilena, Michelle Bachelet, ha salutato la posa della prima pietra per la costruzione del bacino idrico di Chironta, nella Regione di Arica e Parinacota.
La realizzazione del bacino, strategico proprio per sostenere l’agricoltura nella regione, è l’atto più recente del Piano Nazionale dei Grandi Serbatoi (“Plan Nacional de Embalse”), che prevede – tra il 2015 e il 2025 – la realizzazione di 20 bacini idrici sparsi su tutto il territorio nazionale e capaci di contenere un volume di acqua pari a 19.000 km3.
La costruzione dei bacini è considerata dal governo un obiettivo strategico per ragioni differenti. La più immediata è la protezione dei centri abitati in caso di inondazioni (saranno 36.600 le abitazioni messe in sicurezza una volta che il piano sarà completato); la seconda è una gestione efficace delle risorse idriche per sostenere l’agricoltura, e la terza è la potabilizzazione delle acque ottenuta attraverso la costruzione di impianti di trattamento.

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La leadership cilena e il ruolo dei privati

A livello mondiale il Cile è considerato un faro per investimenti e sviluppo delle infrastrutture nel settore idrico. Un risultato raggiunto grazie anche al ruolo centrale riconosciuto ai privati.
Già tra il 1998 e il 2004, il governo cileno aveva ceduto ad aziende private interessi strategici di tredici società statali attive nel settore tenendo per sé una percentuale di minoranza tra il 30 e il 45%. Una scelta motivata dal fatto che all’inizio degli anni ’90 la questione dello scarico di liquami nei mari e nei fiumi era in Cile un problema primario. Nel 1998 gli impianti per il trattamento delle acque reflue erano solo 24 e garantivano l’83% della raccolta delle acque reflue, ma solo il 15% del loro trattamento. Con la volontà di ribaltare questo equilibrio, e grazie ad un programma lungimirante d’investimento e allo stanziamento di circa 4 miliardi di dollari (sia da parte del governo che dei privati), tra il 2004 al 2010 il Cile è arrivato a trattare il 100% delle acque reflue.

Oggi, secondo il report stilato dal Global Infrastructure Investor Association (GIIA) in collaborazione con PricewaterhouseCoopers (PWC), il Cile è leader mondiale nel trattamento delle acque reflue in ambiente urbano, pur mantenendo le tariffe tra le più basse del mondo. A confermare questo risultato c’è il numero in costante diminuzione dei ricoveri ospedalieri dovuti al tifo o alle infezioni endemiche generalmente diffuse in alcuni paesi in via di sviluppo, causate sia dal contatto diretto con persone infette, sia dall’assunzione di cibo o acqua contaminati.
Tra gli investitori, sono presenti aziende provenienti da tutto il mondo: società europee come la spagnola Agbar e le britanniche Anglian Water e Thames Water, ma anche la canadese Ontario Teachers’ Pension Plan (OTPP), entrata nel mercato cileno nel 2007 dopo aver compreso le opportunità offerte da questo Paese, che tra l’altro – secondo il Global infrastructure investment – mette a disposizione degli investitori un sistema regolatorio snello ed efficiente.

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Ora l’attenzione del Cile è tutta concentrata sulla necessità di gestire il crescente e irreversibile impatto dei cambiamenti climatici per garantire la sicurezza della fornitura dell’acqua, ma allo stesso tempo mantenere prezzi sempre convenienti per gli utenti.
Da qui il lancio del piano di investimenti sui Grandi Serbatoi che, dopo la prima pietra di Chironta, è già lanciato per bruciare le prossime tappe.

Il piano dei bacini idrici: un progetto allo stadio avanzato

Il Governo cileno si è impegnato a realizzare 8 di queste opere prima della fine del suo mandato. Di queste, 3 sono già avviate (oltre a quello di Chironta, ci sono i progetti di Valle Hermoso e La Punilla) e altre 5 sono in fase di studio e aggiudicazione: Las Palmas, Catemu e Los Ángeles nella Regione di Valparaíso, La Tranca e Murallas Viejas nella Regione Coquimbo.
Il progetto di Chironta, ad esempio, prevede anche la realizzazione di una diga alta 78 metri e lunga 274 che darà vita a un serbatoio in grado di contenere 17 milioni di metri cubi di acqua.
L’esigenza di un intervento così strutturato e prolungato nel tempo è nata dalla volontà di sostenere e favorire lo sviluppo di quelle zone del paese in cui il deficit idrico crea instabilità. In molte regioni, la disponibilità di acqua, sia in quantità che in qualità, è seriamente influenzata dai cambiamenti climatici. Inoltre, in alcuni casi, la domanda di approvvigionamento idrico è aumentata anche a causa della crescita della popolazione e dei cambiamenti demografici dovuti all’urbanizzazione, all’espansione agricola e industriale.
«Si tratta di un progresso sostanziale per la sicurezza idrica – ha dichiarato pubblicamente la Presidente Bachelet nel giugno scorso – poiché al termine avremo più che triplicato i serbatoi di proprietà del governo».
Le parole della Presidente confermano una volta ancora che la tutela dei 101 bacini idrici attualmente presenti in Cile è una priorità del governo, convinto ormai da anni che l’acqua sia una risorsa strategica, tanto da trasformare il Paese in uno dei leader mondiali nella gestione e nel trattamento delle acque.