Cina: altri 60 miliardi per l’Africa

Il Presidente cinese annuncia investimenti triennali nello sviluppo e nelle infrastrutture

La Cina consolida il suo ruolo di primo sostenitore dello sviluppo africano, e lo fa con un nuovo finanziamento da 60 miliardi di dollari che saranno suddivisi in prestiti e investimenti per le infrastrutture. L’annuncio è stato dato la scorsa settimana dal Presidente Xi Jinping nel corso del Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC) organizzato a Pechino con 53 rappresentanti degli stati africani.
L’evento, una due-giorni di incontri, dibattiti e confronti sul tema degli investimenti, si tiene ogni tre anni. Nel corso dell’edizione precedente, quella del 2015 a Johannesburg, il governo cinese promise un altro stanziamento esattamente pari all’ultimo: 60 miliardi di dollari. Cifre consistenti che servono, secondo i piani della Cina, a costruire nuove infrastrutture, emancipare dalla povertà il continente africano, senza però – ha assicurato Xi Jinping – intervenire direttamente nella politica interna degli stati.
Secondo la ricostruzione di alcune agenzie di stampa internazionali, tra cui France24, Xi ha spiegato ai capi di stato africani che «gli investimenti della Cina non hanno un obiettivo politico» e che «la Cina non interferisce negli affari interni del continente e non intende imporre i propri progetti sull’Africa».

Investimenti infrastrutturali e progetti a lungo termine

La questione rimane quindi legata agli investimenti su grandi progetti di sviluppo, in particolare progetti infrastrutturali che dovrebbero sostenere la crescita di molti paesi.
Rispetto ai 60 miliardi annunciati per i prossimi tre anni, 20 saranno linee di credito, 15 aiuti diretti e prestiti a interessi zero, 10 verranno destinati a un fondo specifico per lo sviluppo, 10 per finanziare progetti privati che vedono coinvolte imprese cinesi e gli ultimi 5 per favorire le esportazioni africane in Cina.
Ma – oltre al finanziamento cinese – nel corso del summit sono stati affrontati anche tre grandi temi su cui la Cina punta moltissimo: la Belt and Road Initiative (BRI, l’ambizioso progetto cinese di sviluppare una rete di infrastrutture di trasporto che colleghi al meglio Asia, Europa e Africa), i Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite (ai quali molti stati africani devono ancora aderire) e l’Agenda 2063 dell’Unione Africana che prevede il raggiungimento di una serie di obiettivi di crescita nei prossimi decenni.
Intervistato dall’agenzia stampa cinese Xinhua, Abebe Selassie, senior official dell’International Monetary Fund e direttore del Dipartimento Africano dell’IMF, ha dichiarato: «Consideriamo la Belt and Road Initiative come un importante veicolo per un più forte impegno regionale, un incremento dei collegamenti commerciali tra la Cina e gli altri paesi, e un modo per sostenere lo sviluppo infrastrutturale».
Ad oggi sono numerosi i paesi africani che hanno già siglato accordi di cooperazione per la BRI e il primo segno tangibile è stato l’investimento stanziato per la costruzione della linea ferroviaria Addis Abeba-Djibouti.
Più in generale, secondo il numero uno per l’Africa del Fondo Monetario Internazionale, la Cina rappresenta ormai per molti paesi africani un esempio da seguire. «Prima di tutto, penso che la Cina sia una fonte di ispirazione per molti stati dell’Africa, poiché è la dimostrazione che si può crescere molto rapidamente nel tempo e trasformarsi da un paese relativamente povero in un paese dotato di una ampia classe media».

Khartoum, Sudan

La Cina alla conquista dell’Africa

Alla fine di agosto, la società mineraria cinese Nonferrous China Africa ha ha lanciato un nuovo progetto di sviluppo nella città di Chambishi, in Zambia, che è stato accompagnato dal plauso del presidente dello Zambia, Edgar Lungu. Contestualmente il gruppo cinese Huajian, un’industria di calzature che lavora per brand come GUESS e Calvin Klein, ha promesso nuovi investimenti nella sua fabbrica africana dove lavorano già 8.000 etiopi.
Le due vicende sono solo un esempio di come la strategia della Cina si trasformi in economia reale sul continente africano.
E infatti la cavalcata cinese in Africa procede ininterrotta da anni ed è perfettamente sintetizzata dai numeri. Secondo i dati del ministero del Commercio cinese nel 2000 il valore degli scambi commerciali tra la Cina e il continente era pari a 10 miliardi di dollari statunitensi, che sono diventati 170 miliardi nel 2017.
E proprio l’inizio di questo lungo percorso riporta al 2000 quando venne istituito per la prima volta il Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC), che fin dalla prima edizione mirava a favorire i rapporti tra i leader politici africani e il governo cinese. Da allora l’impegno finanziario del governo cinese è andato crescendo in modo costante, passando dai 5 miliardi di dollari investiti nel 2006 ai 60 miliardi di dollari annunciati da Xi Jinping nel corso degli ultimi due vertici (Johannesburg e Pechino), molti dei quali sotto forma di prestiti a interessi zero per favorire lo sviluppo di importanti progetti infrastrutturali.
Ponti, dighe, autostrade, impianti per la produzione di energie, linee ferroviarie: sono tantissime le opere avviate in questi anni sotto la spinta finanziaria cinese, che – in molti casi – ha ottenuto come contropartita la scelta di una grande compagnia cinese nel ruolo di main contractor.
Ma prima delle grandi infrastrutture, i tanti progetti avviati guardano alle persone e in particolare alla formazione di tantissimi giovani africani. Alla fine di agosto l’ambasciatore cinese in Kenya ha dichiarato che proprio la Cina è divenuta una delle prime destinazioni per i giovani kenioti. «Oltre 2.400 studenti provenienti dal Kenya stanno adesso studiando in Cina» ha dichiarato Sun Baohong.
E lo stesso ambasciatore ha spiegato che dal Summit del 2015 ad oggi le imprese cinesi hanno garantito la formazione professionale a 67.000 lavoratori in Kenya.
Partire dalle persone, quindi, ma continuare a investire in grandi progetti. La strategia cinese in Africa segue questo doppio binario che, secondo le ambizioni dei leader cinesi, dovrebbe aprire alle aziende di Pechino un’autostrada di sviluppo nel continente africano.