Medio Oriente e Nord Africa, lo spettro della siccità

Dal trattamento dell’acqua di mare arriva una speranza per il futuro

Nella regione più arida del mondo l’acqua è un miraggio per tanti, e una sfida che viene affrontata ogni giorno.
Tra il Medio Oriente e il Nord Africa, dove secondo le Nazioni Unite 17 paesi sono al di sotto del limite minimo di approvvigionamento idrico, il grande obiettivo è trovare acqua dove non c’è e se possibile trattare l’acqua del mare affinché da salata diventi dolce.
Secondo un report recente della Banca Mondiale interventi di dissalazione sono sempre più urgenti per una regione dove vive il 6% della popolazione mondiale, ma dove è disponibile appena l’1% dell’acqua dolce presente sul pianeta.
L’imperativo è categorico perché a quella che è una condizione storica per i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si aggiungono oggi fattori contingenti come il rapido aumento della popolazione, lo sviluppo industriale di alcune aree e i cambiamenti climatici. L’allarme più preoccupato è stato lanciato nel 2014 dalla Food and Agricolture Administration delle Nazioni Unite secondo la quale 13 paesi nella regione vivono in una condizione di assoluta scarsità di acqua, un livello che si raggiunge quando l’acqua scende al di sotto dei 500 metri cubi a persona all’anno, utilizzati per soddisfare tanto i bisogni casalinghi, quanto quelli industriali e agricoli. Troppo poco per sopravvivere a lungo, e abbastanza per rendere necessario un intervento immediato che permetta di trovare acqua dove non c’è.

La dissalazione, quando l’acqua arriva dal mare

La soluzione più efficace è quella della dissalazione, il complesso processo di trattamento che permette di togliere il sale dall’acqua marina. Secondo i calcoli della Banca Mondiale, la regione è il più grande mercato mondiale per questo genere di trattamento, e oggi la metà dell’acqua dissalata al mondo rifornisce questi paesi.
Attualmente il processo di dissalazione è applicato in 150 paesi e l’International Desalination Association (IDA) stima che oltre 300 milioni di persone sulla terra vivano grazie a questo trattamento.
Intervistato dalla CNN, il Segretario Generale dell’IDA, Shannon McCarthy, ha spiegato che gli impianti di dissalazione si concentrano soprattutto nei paesi del Golfo Persico, dove in alcuni casi l’acqua trattata raggiunge il 90% di quella utilizzata per usi domestici.

L’Arabia Saudita è il primo produttore al mondo in questo settore e i suoi impianti rappresentano una boccata d’ossigeno rispetto alla carenza di acqua che ha raggiunto livelli molto alti. Il 65% del Pil saudita è infatti esposto ad un rischio legato alla mancanza di acqua, e il 64% della popolazione può essere danneggiato per la stessa ragione.
A dare il proprio contributo per la gestione idrica dell’Arabia Saudita c’è anche Salini Impregilo attraverso la controllata Fisia Italimpianti, che sta costruendo sulla costa occidentale del Paese l’impianto di Shoaiba che produrrà 250mila metri cubi di acqua al giorno, fornendo acqua potabile ad oltre un milione di abitanti delle città di La Mecca, Jeddah e Taif.
Ed è il ministro dell’Ambiente saudita, Abdulrahman Al-Fadhli, che nei mesi scorsi ha annunciato l’intenzione di costruire nove impianti di dissalazione sulle coste del Mar Rosso investendo oltre 530 milioni di dollari e accrescendo così ulteriormente la quantità di acqua potabile prodotta con questa tecnica.
Ricerca, sviluppo, innovazione costante sono le leve essenziali per operare in un settore così strategico e per evitare che la mancanza dell’oro blu possa incidere in maniera drammatica sulla vita delle persone e sulle economie degli stati.

Il rischio di una crisi economica

La scarsità di acqua si lega in modo profondo allo sviluppo economico e soprattutto alle prospettive di crescita dei paesi colpiti da questo fenomeno. Attualmente il 71% del Pil della regione Medio Orientale e Nord Africana viene generato in aree dove la carenza della risorsa idrica è molto elevata, rispetto al 22% della media mondiale. In termini assoluti, questo significa che 2,5 trilioni di dollari di Pil vengono prodotti in aree a rischio, perché l’acqua a disposizione tende a diminuire. Già oggi – secondo un calcolo della Banca Mondiale – la mancanza di acqua costa ogni anno alle economie dell’area 21 miliardi di dollari.
E il futuro, a meno di interventi efficaci e di uno sviluppo più massiccio degli impianti di recupero delle acque, non è roseo. Entro il 2040 il 60% dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa vivrà in una condizione di emergenza assoluta e entro il 2050 la scarsità di acqua potrebbe costare alla regione un calo del Pil variabile tra il 6 e il 14%.
Invertire questa tendenza è quindi essenziale per proteggere lo sviluppo di questa enorme regione ed evitare che il deserto raggiunga un orizzonte sconfinato oltre il quale non c’è speranza per la vita e il benessere delle persone.