L’eden delle grandi opere

Da Singapore agli Stati Uniti, dove vanno gli investimenti nelle infrastrutture

Una crescita potenziale molto forte, un ambiente sicuro e favorevole per il business, un impianto legislativo e regolatorio solido e un sistema politico stabile. Sono questi i fattori principali che rendono un paese attrattivo per i grandi investitori mondiali attive nel settore delle grandi opere infrastrutturali, fattori che concorrono a formare la lista dei dieci stati che nel 2016 hanno richiamato più degli altri investitori stranieri. Sono Singapore, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Canada, Malesia, Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Olanda, selezionati nella classifica dei top 10 all’interno del “Third Global Infrastructure Investment Index 2016” realizzato da Arcadis, una società olandese leader nella consulenza per il settore delle costruzioni.

Il tema del rapporto, “Bridging the Investment Gap”, si concentra proprio sui fattori necessari per colmare la distanza in termini di investimenti che c’è tra alcuni paesi e altri, partendo dall’analisi dei campioni mondiali, quelle economie che – per una serie di fattori – continuano a puntare sulle grandi opere e per questo concentrano su di sé la quota più consistente di imprese e capitali esteri.

Il rapporto fonda la sua analisi sui dati del World Economic Forum secondo il quale ogni anno sarebbero necessari investimenti extra per un trilione di dollari per colmare il gap infrastrutturale. Questo significa 14 trilioni da investire da qui al 2030, che si tradurrebbero in trasporti più efficienti, riduzione della congestione del traffico nei grandi centri abitati, sistemi idrici migliori, energia pulita, comunicazioni più moderne. Rispondere a queste esigenze – ribadisce il rapporto – è un compito delle istituzioni pubbliche ma anche degli investitori privati.

Non tutti gli stati offrono però le stesse garanzie ed ecco perché la sintesi tra investimenti pubblici e privati raggiunge il successo solo in alcuni mercati, più moderni e trasparenti. Nel formulare la classifica dei principali attrattori di investimenti, il Global Infrastructure Index prende in considerazione gli investimenti di lungo termine, quelli legati a progetti che durano almeno cinque anni, e analizza le performance degli stati sulla base di 24 indicatori, che vanno dalla vitalità dell’ambiente economico al calcolo dei rischi vari, come l’oscillazione della valuta, il rating, la sicurezza interna, l’esposizione a fenomeni terroristici.

Tra i top 10 dell’anno, il paese che ha fatto segnare il miglioramento più significativo sono sicuramente gli Stati Uniti, passati in quattro anni dall’undicesima all’ottava posizione.

La scalata americana dipende soprattutto dal consolidamento della crescita economica, dai rischi molti bassi e dalla solidità del settore finanziario. Inoltre il mercato offre grandi opportunità attirando molti investitori. Solo nel settore dei trasporti – riporta il report di Arcadis – il gap di investimenti vale 86,5 miliardi di dollari.

Singapore

Come gli Stati Uniti, i paesi europei rimangono tra i mercati più stabili, maturi e attrattivi per gli investimenti in infrastrutture. Otto delle prime venti posizioni dell’Index sono infatti occupate da stati del Vecchio Continente e questo è dovuto anche allo storico sviluppo delle PPP, le partnership pubblico-privato che in Europa hanno raggiunto una diffusione e un consolidamento molto ampi. Questo accade soprattutto nei paesi del Nord, quindi Regno Unito, Francia, Germania e Olanda, e viene favorito anche dai primi impatti del Piano Juncker, il progetto lanciato da Jean-Claude Juncker, capo della Commissione europea, per rilanciare l’economia investendo 315 miliardi di euro proprio nello sviluppo infrastrutturale.

Molto interessante è anche l’evoluzione che stanno vivendo i paesi del Medio Oriente. La loro propensione agli investimenti infrastrutturali è ormai nota, ma alcune economie come quella del Qatar o degli Emirati Arabi, Dubai in testa, stanno subendo cambiamenti importanti e passano da investimenti elargiti esclusivamente dal settore pubblico, a una maggiore apertura nei confronti dei privati, garantita da alcuni cambiamenti legislativi approvati negli ultimi mesi.

Un altro paese di grande interesse secondo il report è l’Australia. Nonostante sia scesa all’undicesima posizione, l’Australia sta dando segnali di importante recupero e, soprattutto nelle aree di Sidney e Melbourne, promette di tornare ad attrarre presto importanti investimenti nelle infrastrutture. E infatti a Melbourne è stato approvato il progetto di privatizzazione del porto commerciale e i guadagni saranno investiti nella realizzazione di una rete metropolitana; mentre i 10 miliardi di dollari australiani ottenuti privatizzando parte della distribuzione di elettricità a Sidney, saranno reinvestiti nei prossimi otto anni nella costruzione di strade e reti ferroviarie.

In testa però alla classifica stilata da Arcadis rimane la città stato di Singapore. Analizzando tutti i parametri previsti dall’Index, Singapore rappresenta il mercato più attrattivo per gli investitori internazionali in tema di infrastrutture. E questo è dovuto al fatto che, oltre ai piani di sviluppo pubblici che rimangono in piedi, il governo sta aprendo anche all’ingresso di privati e di fondi istituzionali. Le opportunità sono tante: il governo ha infatti confermato di continuare a riconoscere il settore come un volano per la crescita e attualmente Singapore investe il 5% del proprio Pil nelle infrastrutture, una cifra pari a 20 miliardi di dollari. Dal 2020 il paese prevede di arrivare a investire il 6% del Pil nel settore (30 miliardi), dando la priorità alle infrastrutture di trasporto come la costruzione di un quinto terminal nel Changi Airport.

Ma oltre a Singapore, anche la Malesia ha messo in mostra una decisa sensibilità sul tema e attualmente ricopre la settima posizione nella classifica, grazie a una serie di piani infrastrutturali di lungo termine che il governo ha lanciato negli ultimi anni. Questo conferma la vitalità di una regione che, nonostante rallentamenti fisiologici, continua a crescere e rappresenta sempre più per gli investitori una valida alternativa a mercati maturi come Stati Uniti ed Europa.