Genova: voci dal ponte

Storie, esperienze e promesse degli uomini e delle donne che stanno realizzando il nuovo ponte di Genova

Per chi inizia il turno alle 6 del mattino, la sveglia suona prima delle 5,30. Si mangia qualcosa e poi si prende la navetta che porta in cantiere. Le salite sono controllate. Solo un numero ridotto di operai, tecnici e ingegneri può entrare affinché siano mantenute le distanze di sicurezza. Gli altri attendono il loro turno.

All’arrivo in cantiere ognuno indossa la propria mascherina e si sottopone al controllo della temperatura, che viene ripetuto ogni volta che si esce e si entra dai gabbiotti di sicurezza.

In tutto sono oltre 200 gli operai che si recano ogni giorno nel cantiere del nuovo Ponte di Genova, un cantiere che continua la sua normale attività, proprio mentre l’Italia combatte una delle battaglie più dure della sua storia. Una battaglia che ha costretto in casa milioni di cittadini e bloccato l’attività di migliaia di imprese, causa COVID-19.

Voci dal Ponte – La serie podcast dedicata al nuovo Ponte di Genova

Il cantiere che non si ferma mai

Anche in questa emergenza sanitaria, Genova ha confermato di essere “il cantiere che non si ferma mai”. Centinaia di persone (mille nei momenti di picco), tutte impegnate nel portare avanti la realizzazione di quest’opera che proprio in questi giorni entra nella fase finale, quella della “vestizione” dell’impalcato.

Per arrivarci però – ammette Ercole Biella, responsabile getti di Cossi Costruzioni (società del gruppo Salini Impregilo) – «abbiamo trascorso mesi e mesi di intenso lavoro».

«Ricordo il primo giorno che sono arrivato qui – racconta – quando c’era tutto da demolire. Mi ricordo che mi sentivo come un pulcino in mezzo a tutto questo».

“Tutto questo” era il grande cantiere in costruzione, anzi 20 cantieri che si sono via via attivati nel cantiere della costruzione, dove le operazioni di smaltimento di quello che rimaneva del vecchio ponte Morandi andavano di pari passo con la preparazione delle fondamenta del nuovo ponte.

«Il nostro lavoro consiste negli scavi – spiega Biella – nel preparare i basamenti per i plinti, poi realizzare i getti, di cui sono responsabile».

E proprio l’organizzazione e la velocità nelle operazioni di getto del calcestruzzo hanno permesso di terminare le 18 pile del ponte in meno di sei mesi. Osservandole oggi terminate, Biella commenta: «Mi vien da sorridere per le giornate e le nottate passate per raggiungere il risultato che ci hanno chiesto di raggiungere. E quando le guardo provo felicità per aver raggiunto questo risultato».

Accanto a lui, gli operai che hanno lavorato per mesi sette giorni su sette, giorno e notte.

«Una delle immagini che mi rimane impressa nella mente – racconta Francesco Poma, ingegnere di Salini Impregilo e project director del ponte – è quella degli operai chiusi dentro un furgone che attendono la fine della pioggia battente per uscire e riavviare i getti. È una di quelle immagini che racconta più di molte parole la dedizione e l’impegno profuso in questo cantiere».

I lavoratori del nuovo ponte di Genova: il ruolo dei giovani

La dedizione e l’impegno non hanno età. E anzi si alimentano quando all’esperienza si aggiunge la passione della giovinezza. Sono tantissimi i giovani ingegneri e tecnici che hanno partecipato alla realizzazione di questo ponte. Giovani come Paolo Albergante, ingegnere 29enne, assistente del capo cantiere. «Appena laureato in ingegneria civile – racconta – ho avuto la fortuna di entrare in Salini Impregilo».

Albergante faceva parte del gruppo di 100 ingegneri assunti da Salini Impregilo nell’ambito di un’iniziativa volta a promuovere i talenti del futuro.

«Più che un lavoro – spiega oggi Albergante – questa è una scelta di vita. Ricordo ad esempio il giorno della commemorazione. In quel momento ho capito che stavo partecipando a una cosa molto particolare che dobbiamo portare a termine nel minor tempo possibile».

La stessa responsabilità che sente Simona Olcese, ingegnere genovese chiamata a lavorare nel controllo qualità del cantiere dieci giorni dopo essersi laureata.

«Sono di Genova – racconta – e ho scelto di fare ingegneria perché mi piaceva l’idea di fare qualcosa che potesse essere utile agli altri. Qui in cantiere sono contenta di dare il mio contributo perché sento di fare qualcosa di veramente importante per la mia città».

La partecipazione ad una sfida comune è il sentimento più diffuso tra le sponde di ponente e di levante della valle del Polcevera.

«Di storie personali ce ne sono moltissime – dichiara Nicola Meistro, direttore operations di Salini Impregilo e amministratore delegato di PerGenova (la società costituita da Salini Impregilo e Fincantieri per realizzare il ponte). – Ci sono persone che mettono nella loro fotografia di Whatsapp l’immagine di costruzione del ponte. Ecco, sono piccole cose che non si fanno sempre, anche se devo dire che chiunque lavora alla realizzazione di una grande opera si lega sempre profondamente a quello che fa. In questo caso ancora di più perché percepiamo che una nazione, e forse anche qualcosa di più, ci sta guardando. E questo lo si sente proprio sulla pelle».

Un gruppo di lavoro affiatato per la sfida contro il tempo

Dietro la partecipazione e la passione che centinaia di persone hanno messo nella realizzazione di quest’opera non c’è solo la consapevolezza che quello di Genova è un cantiere diverso da tutti gli altri, ma anche una efficiente organizzazione lavorativa che Salini Impregilo ha mutuato dai suoi grandi cantieri in giro per il mondo. È quello che lo stesso Pietro Salini, amministratore delegato di Salini Impregilo/Webuild, ha chiamato “fast track”, parlando di «parallelismo delle lavorazioni e della capacità di portare avanti in contemporanea più lavori insieme».

Tutto questo è stato fatto coinvolgendo fin dall’inizio tutte le professionalità che avrebbero concorso alla realizzazione dell’opera, applicando su Genova un modello che poche volte prima era stato applicato nei cantieri italiani.

«La prima sfida – spiega Poma – era quella di creare un team che fosse affiatato e composto dalle persone giuste nel posto giusto. E come team ci siamo concentrati nel pianificare al massimo tutte le attività con un project management spinto nella modalità fast track, che avesse l’obiettivo di ridurre al minimo tutti i rischi che avrebbero impattato sul nostro percorso di ricostruzione estremamente competitivo dal punto di vista dei tempi di costruzione».

Dopo aver completato in tempi record l’elevazione delle pile, quel team è oggi impegnato nel completamento degli impalcati. L’ultimo miglio di una maratona in cui sono tutti vincitori.