Passeggiando per il centro di Barcellona, percorrendo le folcloristiche Ramblas fino al Mirador de Colom, oppure addentrandosi nell’affascinante Barrio Gotico, l’occhio umano intercetta il colorato intreccio di persone ma non percepisce la rete invisibile di informazioni che viaggia tra i piedi dei turisti, entra ed esce dai bar de tapas, sparisce nei tombini della metropolitana e riappare sulle scalinate dei mercati all’aperto. È l’internet of things, quel sistema di connessioni digitali tra le cose (parcheggi, trasporti, illuminazione, ecc.) che facilita la vita delle persone e rende la città catalana una delle più avveniristiche smart city al mondo.
Così, invisibili alle maree umane che la vivono giorno e notte, la città è attraversata da 500 chilometri di fibra ottica, wi-fi gratis in ogni angolo, sensori per monitorare qualunque cosa, dalla qualità dell’aria al livello di saturazione dei cassonetti della spazzatura, ed è laboratorio per testare il successo di oltre 200 progetti altamente innovativi che dovrebbero traghettare la metropoli di Antoni Gaudì nel terzo millennio.
L’osservatorio SmartCityWorld ha inserito quest’anno Barcellona al terzo posto dopo Singapore e Londra. Secondo l’analisi, le nuove tecnologie messe a disposizione dei cittadini, hanno contribuito a creare 47mila posti di lavoro, oltre ad aver permesso alla cittadinanza di risparmiare 42,5 milioni di euro solo per la gestione idrica e 36,5 milioni nel sistema dei parcheggi.
La rivoluzione ha un volto di donna
Il processo di modernizzazione di Barcellona va avanti da anni, ma l’impulso più forte è stato dato nel maggio del 2015 quando, con l’elezione a sindaco della città di Ada Colau, è stata scelta come assessore alle Tecnologie e all’Innovazione Digitale, Francesca Bria, un’italiana che aveva fatto esperienza a Londra lavorando nell’Agenzia per l’innovazione del governo britannico e specializzandosi proprio sullo sviluppo dell’innovazione all’interno dell’Unione Europea.
Fin dall’inizio il lavoro della Bria è stato centrato su un motto che lei stessa ha ripetuto in più occasioni: «Ripensare il concetto di smart city dal basso, nel senso di ripensare la tecnologia focalizzandola su quello che può servire alle persone».
In sostanza, una smart city dai risvolti sociali, con progetti centrati principalmente al miglioramento della qualità della vita delle persone. Così è nata ad esempio l’idea di dotare i parcheggi pubblici di sensori posti sotto l’asfalto che permettono di segnalare ai cittadini, attraverso una app, dove si trovano i parcheggi liberi. Questo sistema non solo ha agevolato i conducenti nella ricerca di un posto auto, ma ha anche reso più efficiente l’occupazione dei parcheggi a pagamento, aumentando le entrare per il comune.
Ma questo è solo uno dei tanti progetti avviati dall’amministrazione catalana che, sulla spinta del suo assessore all’innovazione, culla il sogno di portare le tecnologie all’interno della democrazia partecipata.
I progetti per la Barcellona del futuro
Per rendere una città veramente smart è necessario partire dai trasporti. È questa l’esperienza di Barcellona che ha investito molto nella realizzazione di un sistema di mobilità intermodale che comprende il bike sharing, le auto elettriche e un più efficiente trasporto pubblico tradizionale. In una città di 3,5 milioni di abitanti dove – secondo le statistiche ufficiali – ogni anno muoiono 3.500 persone per l’inquinamento atmosferico, la creazione di fermate di bus digitali che segnalano in tempo reale l’orario di arrivo dei mezzi pubblici è una conquista importante, così come il sistema degli “incroci intelligenti”, che ha previsto la digitalizzazione di tutti i semafori cittadini creando delle “autostrade verdi” in città e riducendo di molto i tempi di attesa al “rosso”.
Un’attenzione tutta speciale è stata poi posta sulla tutela dell’acqua, considerata un bene prezioso. Anche in questo caso, una serie di sensori posizionati nei parchi e nelle fontane pubbliche monitorano costantemente il livello di irrigazione e di acqua utilizzata, anche in base alla raccolta dati sull’umidità e le piogge, in modo da evitare gli sprechi. Il programma, che è già attivo nella quasi totalità dei parchi pubblici, ha permesso alla città di risparmiare il 25% di acqua.
Ma se il cambiamento è invisibile per gli strumenti usati, si vede benissimo negli effetti che produce. Oggi, passeggiare di notte per il centro di Barcellona, osservare la Casa Batlló così come perdersi nelle piazzette del Barrio Gràcia è un’esperienza immersiva che deriva non solo dal cambiamento di tutta l’illuminazione cittadina, ma anche dalla sua modulazione, con l’intensità delle luci che aumenta automaticamente proprio nei luoghi di raccolta, dove si concentra la vita notturna della città. È un’altra soluzione per mettere al servizio la tecnologia non solo delle esigenze di risparmio dell’amministrazione, ma anche di un imperativo di sostenibilità che chiama le grandi metropoli ad una gestione oculata dell’energia.
Trasformare le istituzioni nella casa dei cittadini
Essere una smart city significa portare l’innovazione in ogni angolo della vita cittadina e – come dimostra l’esperienza catalana – metterla al servizio del cittadino. Un esercizio che all’amministrazione di Barcellona è riuscito anche attraverso il coinvolgimento di grandi aziende tecnologiche in un progetto condiviso. Tutti i progetti realizzati, così come quelli avviati, sono il frutto di partnership con aziende come Cisco, IBM, Philips, Sap, Schneider e Gdf Suez e di programmi congiunti con prestigiosi centri di ricerca come il Dublin Institute of Technology. Tutto questo per trasformare la città e insieme ad essa dare un volto nuovo all’ente che la governa.
In questa direzione, il progetto “Roadmap Towards Technological Sovereignty” punta a creare un network open source dove saranno convogliate tutte le informazioni che riguardano tanto i cittadini quanto l’amministrazione pubblica. L’obiettivo è da un lato proteggere i dati dei cittadini, dall’altro offrire trasparenza a quelli pubblici permettendo a chiunque di accedervi. Il progetto è partito e tutti i cittadini sono invitati a condividere le informazioni che ritengono utili a migliorare la qualità della vita della loro città. È una sfida per tutti e forse il primo esperimento di democrazia partecipata in chiave digital.