Reinventare la città

I progetti più ambiziosi che stanno cambiando il volto delle metropoli mondiali

L’incontro con Carlo Olmo è il primo capitolo di un reportage a puntate che “We Build Value” pubblicherà nel corso del mese di agosto. Lo Speciale, dal titolo “Reinventare la città”, è un viaggio attraverso quattro grandi capitali mondiali (Parigi, Londra, New York City, Hong Kong) che hanno lanciato ambiziosi progetti infrastrutturali destinati a riscriverne il volto, presentando al mondo un nuovo modello di interazione urbana.

Le città interpreti di un nuovo modo di progettare e vivere le infrastrutture, sempre più strumento per mettere in collegamento le persone. Si apre così una nuova età dell’oro delle grandi opere, che rompe con i miti del passato per crearne di nuovi.
«Ci sono stati e ci sono punti di vista diversi – e diverse fortune – con cui società e cultura hanno guardato alle infrastrutture. Da icone della prima e seconda industrializzazione a simboli di una cultura dello spreco, l’infrastruttura ha davvero conosciuto giudizi estremi». 
Giudizi estremi che, per il professor Carlo Olmo, storico dell’architettura e fondatore dell’Istituto Scienze Umane del Politecnico di Torino, segnano però un’evoluzione del modo di concepire le infrastrutture.

«Le dighe e le centrali idroelettriche alpine, mete di viaggiatori già a fine Ottocento, i silos dei porti statunitensi, entrati negli immaginari degli architetti razionalisti, i ponti di Eiffel e Freyssinet, i docks dei porti di New York o Shanghai sono progressivamente divenuti sinonimi della modernità. Così, più avanti nel Novecento, highways e autostrade come quella del Sole in Italia, stazioni ferroviarie come la Central Station di New York non a caso sono diventate set quasi obbligati di film e pièces televisive. E un’altra highway, la Route 66, aperta l’11 novembre 1926, è divenuta un sogno neanche nascosto di ogni viaggiatore, soprattutto europeo e soprattutto con la Beat Generation. Ma saranno proprio un film e una crisi a segnare l’inversione di tendenza di questa lettura consolatoria e rassicurante. 
Saranno “Week-end” di Jean-Luc Godard (la pellicola del 1967 che rappresenta una critica durissima alla società contemporanea) e la crisi petrolifera (1973) a mettere in scena la crisi di uno dei miti che sorreggevano quegli immaginari: la mobilità individuale. E il Rapporto Meadows realizzato nel 1972 dal “Club di Roma” (l’associazione non governativa fondata nel 1968 e nata come un club di pensatori riuniti per studiare i cambiamenti globali n.d.r.) annunciando i limiti dello sviluppo e predicendo che la crescita economica non sarebbe potuta continuare per sempre, sancirà la fine anche della sua egemonia culturale. E saranno necessari decenni per ricostruire prima le ideologie e poi gli esempi di una nuova stagione di fortune simboliche e sociali delle infrastrutture».

Il passaggio che richiama Olmo è quello alla nuova generazione di infrastrutture, più moderne, meno invasive per l’ambiente, sostenibili nei modelli costruttivi. 
«Sarà necessario aspettare due parole chiave di un nuovo linguaggio – si spiega – sostenibilità e smart, alla fine del secondo millennio e l’inizio del terzo, per creare una narrazione in grado di ricollegare episodi e offrire una contestualizzazione persuasiva. Tuttavia tanto il concetto di sostenibilità quanto quello di smart non bastano da soli per risolvere problemi di enorme complessità. Per entrare nella nuova stagione delle infrastrutture è infatti necessario che le infrastrutture diventino “strutture di relazione” e non solo uno strumento per ridurre tempi, costi o sprechi. Le infrastrutture, che un tempo sono state fondamentali per il progresso, oggi possono fornire risposte alle complessità sociali, economiche, tecnologiche se restano collegate con i territori e le persone.
Un percorso che porta con sé contraddizioni che sono, come sempre, gli aspetti più interessanti e divertenti di processi in cui ideologia, interessi economici, primati tecnologici e narrazioni mitografiche, si intrecciano in maniera quasi indissolubile. E vale forse la pena provare a raccontarne alcuni. Il mito del progresso, che era l’impalcatura sia pur scricchiolante di quelle narrazioni, è ormai non solo in soffitta, ma ricoperto di ragnatele. Con un po’ di laicità intellettuale e di ironia si può allora provare a mettere in scena i casi più emblematici».

Parigi, Francia

Parigi

«A Parigi si intrecciano oggi due grandi progetti infrastrutturali: il Grand Paris Express Reinventer Paris. Il Grand Paris Express, una circolare metropolitana automatica di 95 km, che dovrebbe trasportare 2 milioni di nuovi passeggeri al giorno, non solo contrasta la concezione radiocentrica della Grande Parigi e una mobilità indirizzata verso quella che viene ormai definita una “città senza popolo”. L’infrastruttura, la stazione, è immaginata come condensatrice di un nuovo disegno urbano che sia in grado di rimettere in gioco l’obbiettivo forse più illuministico dell’architettura moderna: fornire un carattere a quei quartieri».
Il secondo grande progetto parigino, Reinventer Paris, prevede il rilancio e l’apertura al pubblico di 34 siti sotterranei che – come ha spiegato anche il sindaco Anne Hydalgo – conservano i segreti della città.
«Reinventer Paris riguarda una delle mitologie, non solo letterarie, più note di Parigi: il ventre sotterraneo della città (che soprattutto Victor Hugo ha reso un luogo celebre ne “Les Misérables”), ma lo fa rigettando proprio la molla che spinge a visitarlo: la nostalgia. I segreti sotterranei, come vengono chiamati, di Parigi diventano oggetto di un’infrastruttura di connessione e di leggibilità che apre un altro mercato al Moloch del consumo turistico».

Londra

Parigi non è però l’unico esempio di come le infrastrutture possono riscrivere il volto di una grande città, ma anche cambiare gli stili di vita delle persone.
«Lo scambio tra immaginari e realtà non interessa solo Parigi – prosegue Olmo. – A Londra il progetto Crossrail, che ha molte affinità con il Grand Paris Express, recupera senza accorgersi un’utopia di John Paxton, il progettista del Crystal Palace (l’edificio in stile vittoriano progettato dall’architetto e inaugurato nel 1851 N.d.r.) e dell’architettura più citata come innovativa della modernità: quella che ospitava proprio a Londra la prima Esposizione Universale. Pochi anni dopo quel 1851, Paxton sogna e progetta un anello circolare in vetro attorno a Londra, dentro cui dovevano correre i treni che avrebbero dovuto consentire una mobilità non solo radiocentrica. Guardando oggi progetti e rendering delle stazioni del Grand Paris Express e del Crossrail londinese la nostalgia per l’invenzione di Paxton non può che…dilatarsi!».

Le nuove città

Realizzare infrastrutture efficienti, utili, integrate con l’ambiente: è questo il futuro. Anche per le città, non più “pezzi unici” come Londra, Parigi, Roma, New York City, ma progettate in scala, secondo criteri ben definiti.
«Nel giugno del 2015 – racconta Olmo – il governo indiano comunicò la lista delle prime venti città destinate a fornire un modello replicabile sino a cento di smart city. È una autentica Smart City Mission quella indiana, che intreccia pianificazione urbanistica e modelli che mirano a dare identità alla città e a renderla più friendly. La Smart City Mission indiana è molto prudente e non ritiene che vi possa essere un unico modello da generalizzare, anche quando le parole d’ordine sono quelle oggi più ricorrenti: risparmio energetico, efficienza delle reti, digitalizzazione dei servizi». 
Ma c’è un altro piano che da anni anticipa una frontiera che oggi sembra, per molti aspetti, la più centrale: il consumo del suolo e il suo valore di tabù. I due esempi che scandiscono i tempi di questa nuova storia sono l’aeroporto di Kansai in Giappone (1994), progettato da Renzo Piano, e la nuova, odierna espansione di Hong Kong nelle acque del suo porto. Una storia lunga più di vent’anni di infrastrutture che sono una rappresentazione quasi provocatoria della teoria della complessità e, contemporaneamente, della più radicale secolarizzazione della tecnica. E ancora una volta è il paradosso a raccontare entrambi questi complessi fenomeni: come il problema di drammatica complessità per la città di Hong Kong di fornire ai suoi abitanti… l’acqua potabile!».

La supremazia della tecnica

È quindi la tecnica che permette di raggiungere quello che negli anni passati sembrava irraggiungibile. Grattacieli sempre più alti, dighe sempre più grandi, ponti che coprono distanze enormi. 
«Oggi forse si può arrivare a pensare e realizzare contemporaneamente un’infrastruttura che consenta di sciare a 46 gradi centigradi a Dubai nel “Mall of The Emirates” e un grattacielo di un chilometro in altezza che sia autosufficiente energeticamente che si dovrebbe completare nel 2018».
Il segreto però per realizzare tutto questo rimane l’analisi, lo studio del suolo, il calcolo dei bisogni delle persone. «Nel 1716 – racconta Olmo – il re di Francia affida al Laboratoire (il nucleo iniziale dal quale sarebbe nata la Ecole des Ponts et Chaussées) un compito davvero smart: produrre una cartografia conoscitiva di tutti i territori prossimi alle strade di Francia. Senza quell’indagine conoscitiva così approfondita, la straordinaria modernizzazione che porta a fine secolo a una rete infrastrutturale unificata e certa nei suoi tempi di percorrenza non si sarebbe realizzata».

L’essere smart, moderne e utili, è quindi la vera forza delle infrastrutture, ciò che le rende essenziali per il genere umano e per la crescita economica.
«Nel 1966 apre a La Rance in Francia, la prima centrale che sfrutta le maree per produrre energia. Inizia così un’altra storia che ci parla di un rapporto tra natura e necessità sempre crescente per l’umanità di energia e dei modi per produrla. Oggi il ponte costruito vicino a Ganghwa Island nella Corea del Sud come la riserva marina di Race Rocks a Vancouver, espressioni di questa nuova generazione di infrastrutture, ci parlano di come l’innovazione cerchi soluzioni che siano sempre più ecocompatibili, ma anche di come quegli interventi pongano non solo a minoranze, i pescatori nel caso di Vancouver, problemi che in realtà riguardano tutto l’ecosistema marino. 
L’antropizzazione della natura tocca oggi persino quel rapporto tra luna e terra che ispirò i primi poeti greci! Ma la strada della sostenibilità e dello smart non è meno priva di conflitti di quella percorsa da dighe, ponti, autostrade. Forse il conflitto è la vera essenza dell’innovazione – e le infrastrutture proprio perché connettono mondi ne sono la testimonianza più fragile – e noi troppo spesso lo dimentichiamo».