Cinquant’anni fa una delle imprese architettoniche più complesse nella storia dell’uomo: lo spostamento dei templi di Ramesse II ad Abu Simbel, in Egitto. Una corsa contro il tempo lanciata dall’UNESCO per evitare che l’innalzamento del livello delle acque del Nilo, dovuto alla costruzione della diga di Assuan, sommergesse i templi, cancellando così migliaia di anni di storia.
Un’impresa che nel 2018 ha compiuto mezzo secolo e che è stata celebrata da Salini Impregilo (che insieme ad altri grandi player interazionali realizzò l’opera) il 4 febbraio presso il Museo Egizio di Torino alla presenza dell’amministratore delegato di Salini Impregilo, Pietro Salini, del Direttore del Museo Egizio, Christian Greco, e del Direttore regionale dell’UNESCO, Ana Luiza Thompson-Flores.
L’evento, accompagnato alla presentazione del volume “Nubiana” (edito da Rizzoli) che attraverso immagini e testimonianze inedite ripercorre le tappe salienti di quell’impresa, è stato il momento per ricordare una delle più grandi esperienze di cooperazione internazionale a difesa del patrimonio dell’umanità.
In poco più di tre anni i due templi, pesanti rispettivamente 265.000 e 55.000 tonnellate, sono stati spostati 280 metri più all’interno e 65 metri più in alto rispetto alla loro sede originaria, trovando riparo in un luogo sicuro, lontano dal rischio di un’inondazione del Nilo.
L’appello dell’UNESCO venne lanciato il 9 gennaio del 1960, tre mesi dopo l’inizio dei lavori per la costruzione della diga di Assuan, e fu raccolto in breve tempo da alcune delle più importanti imprese di costruzioni al mondo. Dopo il periodo di studio e progettazione, i lavori furono affidati nel 1963 a un consorzio di imprese di cui era parte Salini Impregilo, e da lì a pochi mesi iniziarono le operazioni per portare in salvo questo inestimabile patrimonio dell’umanità.
La prima fase
Tra la primavera del 1964 e la primavera del 1965 venne realizzata una diga di sbarramento lunga 370 metri e alta 25 metri per proteggere l’area dall’innalzamento delle acque del Nilo. Il grande muro che rappresentava un primo argine era fatto con 380mila metri cubi di roccia e sabbia e 11mila metri quadrati di pile in lamiera di acciaio.
Accanto alla diga, per contenere l’impatto del fiume, venne costruito un sistema di drenaggio, pozzi e canali sotterranei.
La seconda fase
Una volta messo al sicuro il sito, iniziò lo smantellamento dei templi. I lavori partirono all’inizio del 1965 e si conclusero nell’aprile del 1966. Si cominciò con la rimozione del picco sovrastante, mentre le facciate dei templi vennero protette con cuscini di sabbia per evitare che potessero essere danneggiate dalla caduta di frammenti.
Fu in questa fase che avvenne il taglio dei templi in blocchi, per il quale furono chiamati dall’Italia alcuni tagliatori di marmo provenienti da Carrara. I templi vennero così smantellati e i blocchi posizionati in una grande area deposito di 44mila metri quadrati, prima di essere recuperati per il rimontaggio.
La terza fase
Nel gennaio del 1966 iniziarono i lavori di rimontaggio che durarono oltre due anni, fino al settembre del 1968. Il ruolo più delicato fu quello assegnato ai geometri, chiamati a verificare il perfetto posizionamento dei blocchi. Una volta completato il rimontaggio, i lavori si conclusero con la ricostruzione di un ambiente circostante che riproducesse alla perfezione quello originario, restituendo al mondo l’immagine esatta dei templi di Abu Simbel.