La strada che collega la città portuale di Savannah ad Atlanta scorre lenta, tra infinite foreste, campi coltivati e un senso di sospensione che solo gli stati del Sud riescono a comunicare. È nata insieme alla ferrovia che dal porto – il più grande degli Stati Uniti e uno dei più trafficati al mondo – sposta le merci nell’America continentale, nel Midwest, su a Nord verso le città dei grandi laghi: Chicago, Detroit, Cleveland. E al contrario, dalla Rust Belt, la cintura delle industrie pesanti, verso l’Atlantico e quindi il Sudamerica e l’Europa.
Ancora oggi questa strada rappresenta una delle arterie più importanti per l’economia degli Stati Uniti, un’economia che negli ultimi otto anni, dopo la crisi finanziaria del 2008, è ripartita, creando posti di lavoro e riportando il Paese alla piena occupazione. La Georgia e le sue infrastrutture sin dall’inizio del ‘900 sono state un nodo fondamentale per la crescita americana: ad Atlanta ad esempio è nato il movimento del New South, una scuola di pensiero che ha cambiato il volto di quegli stati, facendoli passare da un modello di sviluppo basato sullo schiavismo e sull’agricoltura ad uno che avesse come fulcro l’industria, seguendo il modello degli stati del Nord.
Per sostenere questo progetto sono stati costruiti ponti, strade, ferrovie, acquedotti e, negli anni, il porto di Savannah ha assunto un ruolo centrale per il Paese. Nel frattempo la Georgia è diventata l’Empire State del Sud, il soprannome più usato dopo lo storico Peach State, per le infinite coltivazioni di pesche che da Atlanta, la sua capitale, si estendono fino al centro dello stato. Atlanta è il cervello della Georgia: uno spazio abitato da 5 milioni di persone su un territorio che la rende l’area metropolitana più estesa degli Stati Uniti, prima di New York, Los Angeles e Chicago. Nella città hanno i loro quartieri generali Coca Cola, Delta Airlines, ma anche Cnn e Home Depot.
In una delle ultime classifiche stilate dal network americano Cnbc, le infrastrutture della Georgia sono definite tra le migliori degli Stati Uniti, al quarto posto, dopo Texas, Tennessee e Indiana. Questo grazie a Savannah, che ha il più grande terminal per container in Nordamerica, e all’aeroporto Hartsfield–Jackson di Atlanta, il più trafficato al mondo.
Ma anche qui, come nel resto degli Stati Uniti, servono nuovi investimenti, dice a “We Build Value” Sung-Hee Sonny Kim, professore associato di ingegneria alla University of Georgia. «In questo momento c’è un deficit di investimenti in infrastrutture. Tuttavia, il denaro fornito dallo stato e dall’ente federale per i trasporti dà un aiuto molto importante per risolvere questo problema», continua Kim che sta lavorando con il Georgia Department of Transportation per sviluppare strade in grado di resistere meglio agli agenti atmosferici e all’intensificarsi degli uragani.
Un rapporto della American Society of Civil Engineers (Asce) sulle condizioni delle infrastrutture e il loro deterioramento sostiene che il ritardo nell’ammodernamento delle opere costerà 912 dollari all’anno a ogni cittadino americano entro il 2020, in confronto ai 130 dollari del 2010. E nel 2040 i costi si potrebbero triplicare rispetto ai livelli del 2020. «Credo che gli investimenti per la conservazione di infrastrutture compatibili con l’ambiente e resistenti a più rischi, sia nelle aree urbane che in quelle costiere, possa migliorare le condizioni delle infrastrutture stesse», continua Kim, ricordando come la tecnologia sarà fondamentale per monitorare il loro stato e migliorarle. C’è da dire che la Georgia potrebbe fare di più sul terreno degli investimenti in sviluppo delle infrastrutture.
Tra i principali punti deboli della Georgia, figurano sicuramente i ponti. In tutto sono più di 14.000, alcuni storici e bellissimi come quello di Red Oak Creek a Woodbury, che conserva ancora la copertura in legno, altri (la maggior parte) sono più recenti ma hanno molti problemi legati alla manutenzione. Per Russell McMurry, capo del Department of Transportation della Georgia, l’età media dei ponti dello stato è di 43 anni e la maggior parte di essi è costruito per avere 50 anni di vita. E così anche il 20% delle interstate e il 26% delle strade nazionali si trova in condizioni scarse o gravi, mentre il 18% delle strade locali e dei ponti è obsoleto, dice McMurry nel suo intervento al Transportation Summit organizzato alla fine di novembre ad Athens, piccola città a pochi chilometri da Atlanta.
Certo, ci sono anche elementi positivi: secondo l’Asce il livello generale delle infrastrutture corrisponde a C, contro una media nazionale che si ferma alla lettera D. Intanto sulla costa che da Savannah scende fino alla Florida, alla città di Jacksonville, ci sono ancora tutti i segni del passaggio dell’uragano Matthew che ha spazzato via il 30% delle spiagge. «Storicamente – conclude Kim – lo stato e il governo federale e locale hanno trovato un modo per sostenere la richiesta vitale di infrastrutture. Comunque la domanda/problema che spero di poter risolvere è la creazione di una struttura decisionale per portare gli Stati Uniti verso un sistema di trasporti del 22esimo secolo».
Sembra infatti che il denaro per proseguire in questa direzione ci sia. A livello statale la Georgia ha sbloccato 1 miliardo di dollari per progetti legati al trasporto e alle vie di comunicazione, ha fatto sapere McMurry. Allo stesso tempo il FAST Act, firmato nel 2015 da Barack Obama, prevede di inviare 1,3 miliardi di dollari in fondi federali, anche se per ora sono solo 250 i milioni di dollari effettivamente disponibili. Infine c’è il piano di Donald Trump. Il presidente eletto, nel corso della campagna elettorale, ha più volte ripetuto che per rilanciare l’economia del paese servono nuove strade, ponti, tunnel e porti e ha promesso una rivoluzione: investire 1.000 miliardi.