La Cina dopo il Covid: cosa rimane della nuova Via della Seta

Il Covid-19 impone una battuta d’arresto al maxi piano cinese della Belt and Road Initiative

Che cosa ne sarà della Via della Seta, o meglio del grandioso progetto “One Belt, One Road” che – in nome e per mezzo delle infrastrutture – avrebbe dovuto collegare in modo rapido ed efficiente l’estremo oriente con l’Europa, lungo la stessa rotta percorsa da Marco Polo quasi ottocento anni fa? La risposta non è scontata e legata all’impatto che il Covid-19 avrà sulle maxi opere, e soprattutto sui maxi investimenti che la Cina aveva messo in campo per realizzare quella rete intermodale che avrebbe dovuto collegare (oltre alla Cina stessa) Mongolia, Russia, Asia centrale, Pakistan, India, Europa dell’Est fino a Venezia e da lì a Londra.

La diffusione della pandemia, e la conseguente chiusura dei confini nazionali, ha imposto diversi stop al progetto che – stimato inizialmente in 1 trilione di dollari – ha visto aumentare le previsioni di costi, fino alle ultime stilate da Moody’s che parlano di una cifra destinata ad oscillare tra i 2 e gli 8 trilioni di dollari.

E oggi gli analisti internazionali sono convinti che la Belt and Road Iniziative non sia più tra le priorità del governo cinese, concentrato soprattutto sulla ripresa post-Covid, come anche indicato dalle prime linee guida annunciate del maxi piano di investimenti quinquennale che sarà reso noto nelle prime settimane del 2021.

Belt and Road Initiative: un grande progetto in cerca di rilancio

Il primo a lanciare la nuova Via della Seta è stato il Presidente cinese Xi Jinping nel 2013, quando annunciò la Belt and Road Initiative, un progetto che avrebbe dovuto puntare alla realizzazione di strade, ferrovie, porti, hub intermodali, per favorire gli scambi delle persone e delle merci tra l’Asia e l’Europa.

E proprio la Cina è stato il paese che, più di ogni altro, ha investito risorse economiche sul piano, almeno fino all’esplosione della pandemia. Tra il 2013 e il 2018, Pechino ha messo a disposizione del progetto 614 miliardi di dollari, il 38% dei quali destinato al settore energetico, il 27% ai trasporti, il 10% al real estate. Oltre la metà delle risorse è stata stanziata in Asia, il 23% in Africa, il 13% nel Medio Oriente.

Un segnale che l’impegno, non solo cinese, ma anche degli altri stati coinvolti nell’iniziativa è andato diminuendo dopo la crisi del Covid, è stato confermato anche dal colosso China Railway, impegnato nella costruzione di linee ferroviarie in tutto il continente.

«Il contraccolpo del Covid – si legge nell’Interim Report 2020 dell’azienda – ha rallentato le attività estere delle aziende di costruzioni cinesi. Anno su anno, il valore dei contratti siglati nei 59 paesi che hanno aderito alla Belt and Road è diminuito del 5,2% fermandosi a 60,3 miliardi di dollari».

Il rischio di un rallentamento sul maxi piano è stato confermato anche durante l’estate scorsa da Wang Xiaolong, direttore generale del International Economic Affairs Department del ministero degli Esteri cinese, il quale ha ammesso che il 20% dei progetti previsti dalla Belt and Road ha subito l’impatto della pandemia. La prospettiva, condivisa da molti, è che il progetto sia divenuto – almeno in questa fase storica – troppo dispersivo rispetto alle esigenze contingenti, e proprio nella direzione di una risposta più immediata dovrebbe andare il nuovo piano quinquennale di investimenti che sarà lanciato dalla Cina nel 2021.

Il 14esimo piano quinquennale della Cina

Il termine previsto è quello del mese di marzo. È quella la data ad oggi indicata per presentare al mondo il 14° Piano quinquennale di crescita della Cina. Un piano sul quale il governo sta conducendo una serie di incontri e analisi già dalle prime settimane di ottobre del 2020, per elaborare un progetto di lungo corso che tenga dentro una risposta immediata alla crisi del Covid.

Secondo molti esperti, tra cui anche Wang Tao, capo economista della UBS Investment Bank in Cina, il piano punterà per il prossimo quinquennio a una crescita del Pil più conservativa rispetto a quella degli anni precedenti, quindi intorno al 5% annuo.

Secondo le prime indiscrezioni, il nuovo piano non ritoccherà la strategia della Cina sugli investimenti infrastrutturali, che anzi continuano ad essere considerati uno degli strumenti migliori per rilanciare l’economia, ma punterà a un reindirizzo degli stessi su progetti più concreti e capaci di offrire risposte già nel breve periodo.

Più che puntare sulla Belt and Road Initiative, uno dei pilastri del nuovo piano sarà l’evoluzione della Greater Bay Area, la ricca regione che comprende alcune delle più grandi città cinesi, da Shenzhen a Hong Kong, e che sarà presto interamente collegata con treni ad alta velocità.

La linea è stata indicata già alla Central Economic Work Conference, il tradizionale incontro al quale partecipa il presidente cinese con i massimi esponenti del governo dedicato alle strategie economiche da perseguire nell’anno successivo. Nell’evento che si è tenuto il 16 dicembre scorso, ancora una volta è emersa l’esigenza di dare risposte efficaci nel breve periodo e quindi grandi progetti che possano riattivare l’economia in tempi rapidi.

A questo si è aggiunta una nuova esigenza globale, che il Covid-19 ha sollevato non solo in Cina ma tra tutte le economie più avanzate, e che naturalmente riguarda anche il settore delle infrastrutture strategiche. Il tema è quello dell’indipendenza, dell’autonomia e della sicurezza degli stati, un tema sul quale proprio le grandi opere occupano un ruolo primario.