Il Global Risk Report: il rapporto del World Economic Forum 2016

Dietro l’incertezza, si nascondono tante opportunità per le imprese

Fare business in un’economia globalizzata comporta molti rischi, ma anche grandi opportunità. Negli ultimi 40 anni il panorama è cambiato: dal 1980 al 2014 lo stock di investimenti diretti esteri nel mondo è passato da 54 miliardi a 1,23 trilioni di dollari. Chi investe all’estero lo fa per crescere, cercando nuove occasioni di business, ma allo stesso tempo esponendosi ai rischi che tutto questo comporta. Ogni fattore di volatilità che sta caratterizzando questo inizio di 2016, porta infatti con sé un’occasione di sviluppo. Questo accade ad esempio con il crollo del prezzo del petrolio che, mentre mette in difficoltà le economie dei Paesi produttori, rappresenta un volano di sviluppo per le imprese che acquistano la materia prima. Luci e ombre anche nel settore delle costruzioni dove, a fronte della lenta ripresa del real estate, il comparto infrastrutturale e delle grandi opere marcia a ritmi sostenuti.

Davos 2016: gli investimenti esteri nel mondo

Nell’ottica  di costruire una mappa mondiale del rischio, utile anche ai grandi player mondiali, il World Economic Forum (la cui Assemblea annuale si è chiusa sabato 30 gennaio a Davos), ha pubblicato il “Global Risks Report 2016”, all’interno del quale ha dedicato un capitolo al tema “Risks for Doing Business at a Glance”. Dalle interviste realizzate a 750 esperti nei 140 Paesi coperti dagli analisti del World Economic Forum, è nata un’analisi dei cinque principali rischi che minacciano il futuro del business.

World economic forum: il global risks report 2016, le principali cause di rischio nel business

Disoccupazione e sottoccupazione

Il tema del lavoro, della mancata occupazione e della sottoccupazione è centrale nella stabilità del business globale e rappresenta il rischio maggiore per l’attività economica in 41 Paesi. Il problema è esploso con la crisi del 2007 ed è diventato strutturale in molte economie, soprattutto quelle sviluppate, dove i tassi di disoccupazione sono tornati a livelli elevati. A questo proposito gli analisti di Davos ritengono che la mancanza di lavoro sia la conseguenza ma anche la causa della decrescita economica, perché si riversa sui consumi, oltre a rappresentare una minaccia per la stabilità sociale.
Inoltre il pericolo è che si crei un distacco troppo elevato tra le competenze richieste da un mondo produttivo in costante cambiamento e quelle – ormai superate – che appartengono alla massa dei disoccupati cronici.

Gli shock energetici

Shock energetici

Li chiamano “energy price shocks” e sono la naturale conseguenza degli alti e bassi del prezzo del petrolio, del gas e di altre fonti energetiche. Nel caso del petrolio, il suo prezzo ha raggiunto i livelli più bassi degli ultimi dieci anni. Un rischio che viene considerato il più elevato in 29 Paesi nel mondo, quelli dove le economie sono più esposte agli alti e bassi dei prezzi energetici. Se è vero che da un lato il basso costo del petrolio ha dei risvolti positivi (riduzione dei costi energetici per le imprese e per i singoli cittadini, oltre a un tasso di inflazione che si mantiene basso), è anche vero che in molti altri casi il trend porta con sé rischi evidenti, che si concentrano sui Paesi produttori e sull’industria energetica in generale. Nel 2015 le perdite attese dai Paesi del Gulf Cooperation Council nell’export di petrolio ammontano a 300 miliardi di dollari. E questo avviene mentre, secondo il Fondo Monetario Internazionale, oltre 10 milioni di persone da qui al 2020 cercheranno lavoro proprio nei Paesi esportatori di greggio. Il crollo del valore, quindi, oltre a impattare sui deficit strutturali dei Paesi porta con sé rischi evidenti in termini di occupazione e di stabilità sociale.

Instabilità politica

Corruzione, debolezza nell’applicazione delle leggi, pervasività del crimine organizzato, sono tutti fattori che rendono debole l’azione politica e contribuiscono al fallimento della governance di un Paese. Un rischio reale – secondo i manager intervistati – per almeno 14 Paesi indicati nel Report di Davos e concentrati soprattutto in America Latina e Africa Sub-Sahariana.
L’impatto di questa instabilità sul business è devastante perché mina la competitività, la creazione di posti lavoro e lo sviluppo economico. Una delle conseguenze primarie di questa debolezza è il commercio illegale, che tocca tantissimi settori economici, dalla logistica ai trasporti, e che – secondo le stime più accreditate – costa all’economia mondiale 2 trilioni di dollari.

La bolla patrimoniale

Sia che si tratti di asset finanziari che di real estate, le bolle patrimoniali sono state i detonatori di tutte le ultime crisi, a partire dall’onda deflazionistica che ha colpito il Giappone dai primi anni ’90 fino alla crisi mondiale del 2007. Secondo i manager intervistati in 11 Paesi, la maggior parte dei quali concentrati in Europa e in Asia, il rischio primario è legato all’esplosione di una nuova bolla patrimoniale. Inoltre, considerata la debolezza della ripresa in Europa, in Asia ma anche negli Stati Uniti, se dovesse esplodere oggi una nuova bolla patrimoniale l’impatto sarebbe pesantissimo. In particolare, i rischi maggiori si concentrano nei mercati finanziari, nel real estate e nei bond governativi. Tutti e tre questi settori, così come in passato, sono ancora oggi oggetto della volatilità generale e possono generare una nuova ondata recessiva.

Borsa di Shangai

Attacchi informatici

Un’impresa globalizzata, impegnata sui mercati internazionali e alla prova di business complessi e competitivi, risulta una preda naturale dei cyberattack. Le evoluzioni tecnologiche e la digitalizzazione dei processi produttivi aziendali espongono le multinazionali ad un rischio che ha costi elevatissimi. Il Centre for Strategic and International Studies and McAfee stima che solo il cybercrime costi all’economia globale 445 miliardi di dollari. Ovviamente i rischi sono tanti, includono anche lo spionaggio economico, e – secondo gli intervistati – sono fonte di maggiore preoccupazione soprattutto in otto Paesi: Estonia, Germania, Giappone, Malesia, Olanda, Singapore, Svizzera e Stati Uniti. La digitalizzazione dei processi produttivi, accompagnata alla diffusione dei crimini cibernetici, obbliga oggi le grandi aziende a ripensare la governance interna riconoscendo responsabilità e ruoli a chi deve fronteggiare questo pericolo.
Tutti questi rischi, dal costo delle materie prime agli attacchi informatici, impongono una nuova strategia del business che dovrebbe essere maggiormente improntata ad una più efficiente collaborazione tra il pubblico e il privato. Solo un dialogo costante con i governi, unito alla formulazione di politiche condivise di contrasto ai rischi di sistema, può alzare un argine alla volatilità e tutelare il buon andamento del business.