Il risiko della Cina sulle infrastrutture

274 miliardi di dollari investiti dalla Cina in 15 anni nella costruzione di grandi opere

Se bastassero due numeri per raccontare il peso della Cina negli investimenti infrastrutturali in giro per il mondo sarebbero questi: 3.485 progetti per un valore complessivo di 273,6 miliardi di dollari. Tanto il governo cinese ha investito nell’arco di quindici anni per la costruzione di grandi opere al di fuori dei confini nazionali.
Una cifra record che emerge dallo studio “Chinese Infrastructure Projects and the Diffusion of Economic Activity in Developing Countries” realizzato dal centro di ricerca statunitense AidData. L’analisi, pubblicata poche settimane fa, prende come riferimento 138 paesi in un arco temporale che va dal 2000 al 2014. Uno studio complesso, condotto censendo opera per opera, fino ad arrivare al dato complessivo e all’indicazione dei settori privilegiati.
Il 43% dei progetti riguarda la costruzione di strade, ferrovie, porti, aeroporti, impianti elettrici, dighe; il 42% infrastrutture sociali come ospedali, scuole, ecc.; mentre il restante sono opere a sostegno diretto del turismo e dell’agricoltura.
Nell’insieme, quella che emerge è la fotografia di una presenza capillare soprattutto nei paesi in via di sviluppo che non risale solo agli ultimi anni, ma fa capo ad una strategia di lungo periodo inaugurata cinquant’anni fa.

La prima pietra

La storia degli investimenti infrastrutturali cinesi nel mondo inizia in Tanzania nel 1967. Quell’anno la Cina subentra a un gruppo di paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Canada, Francia, Germania Ovest e Unione Sovietica) nella costruzione della Tazara railway, una ferrovia lunga 1.860 chilometri che avrebbe collegato le miniere di rame dello Zambia con il porto di Dar es Salaam. Per realizzarla il governo cinese stanzia 415 milioni di dollari (pari a 3 miliardi di oggi), il più grande investimento estero del paese fino ad allora.
Guardando a quanto accaduto negli ultimi 50 anni, la Tazara railway può essere considerata una pietra miliare per gli investimenti cinesi nel settore delle infrastrutture, un primo esempio dell’attivismo internazionale della Cina.

Il mondo delle infrastrutture a trazione cinese

Dal 1967 in poi la presenza sui mercati esteri è andata crescendo, fino ad arrivare agli anni Duemila quando la Cina ha consolidato il ruolo di leader nella costruzione e ammodernamento delle infrastrutture di trasporto nel mondo. In Africa, tra i vari progetti sostenuti, il paese ha finanziato la costruzione della ferrovia Addis Abeba-Djibouti per 3 miliardi di dollari e della ferrovia che collega la capitale del Kenya con Mombasa per 4 miliardi. In Asia, il governo cinese ha stanziato 7 miliardi di dollari per costruire una linea ad alta velocità che collega la provincia di Yunnan (in Cina) con la capitale del Laos, Vientiane; così come 2 miliardi di dollari sono stati investiti per costruire l’autostrada che va da Karachi a Kahore in Pakistan. In America Latina, è stata finanziato l’ammodernamento di 1.500 chilometri di autostrade argentine per un valore di 2 miliardi di dollari, oltre a progetti di sviluppo di strade e ferrovie in Venezuela, Jamaica, Ecuador, Bolivia. E infine in Iran, il governo cinese ha investito 2 miliardi di dollari per l’elettrificazione di una linea ferroviaria lunga 926 chilometri che collega la città di Mashhad con Tehran.
Queste grandi opere sono solo alcuni dei progetti lanciati negli ultimi anni con il sostegno finanziario di Pechino, uniti dallo stesso filo rosso che porta al 2013, quando il presidente Xi Jinping ha lanciato la “One Belt, One Road”. L’iniziativa punta alla costruzione di una rete moderna che colleghi Asia ed Europa, dando vita ad una nuova Via della Seta capace di accelerare gli scambi di uomini e merci in un’area dove vive il 70% della popolazione mondiale e che produce il 55% del Pil globale.
È questa l’espressione massima dell’attivismo cinese nel settore delle infrastrutture, una partita globale nella quale imprese e governo si muovono insieme, decise a seguire la strada indicata cinquant’anni fa dall’ex-Presidente Mao Tse-tung.

La banca asiatica adesso guarda al mondo

Un altro passaggio strategico nel consolidamento di una leadership negli investimenti infrastrutturali è stata l’istituzione della Asian Investment Infrastructure Bank (AIIB). Lanciata dal presidente Xi Jinping nel gennaio del 2016, la banca finanzia attualmente 32 progetti e nel 2017 ha stanziato 4,2 miliardi di dollari. Tra i progetti avviati lo scorso anno c’è anche il primo prestito concesso al di fuori dell’Asia: quello al governo egiziano per la costruzione di centrali solari nel paese.
«Il board della banca – ha dichiarato la scorsa settimana il Presidente dell’istituto Jin Liqun a “Caixin” (uno dei principali network di informazione finanziaria con base a Pechino) – ha deliberato che il 15% del capitale possa essere investito anche al di fuori dell’Asia. E la percentuale potrebbe aumentare in futuro. Ad oggi, i paesi asiatici detengono il 75% delle quote della banca, mentre quelli non asiatici il 25%».
Sebbene la partecipazione all’interno della banca sia diffusa tra gli 87 stati membri, la Cina rimane il primo azionista e con una quota che supera il 30% indica la rotta per gli investimenti dell’istituto nato per fare concorrenza alla World Bank.