Il Covid-19 rallenta la corsa degli stati dell’Europa centrale e orientale, gli ultimi arrivati nell’Unione europea che proprio nei 30 anni appena trascorsi hanno vissuto un rapido sviluppo tanto sociale quanto economico.
Ungheria, Estonia, Lituania, Polonia, Romania, e ancora Repubblica Ceca, Slovenia, Lettonia: paesi che sono stati protagonisti di uno sviluppo transitato anche per la costruzione di nuove infrastrutture, responsabili della modernizzazione di questi stati ma anche di avvicinarli al resto del continente.
Nonostante questo sforzo – riporta oggi il Fondo Monetario Internazionale all’interno dello studio “Infrastructure in Central, Eastern and Southeastern Europe” – il gap infrastrutturale è ancora considerevole. Per colmare almeno il 50% del ritardo con i 15 paesi più sviluppati dell’Ue sarebbe necessario investire ogni anno fino al 2030 una cifra variabile tra il 3 e l’8% del Pil. Investimenti da destinare a nuovi progetti infrastrutturali.
Una necessità divenuta esigenza con l’esplosione del Covid-19 che ha contribuito ad alimentare una crisi economica dalla quale – secondo quanto riporta l’equipe di studiosi dell’FMI – i paesi dell’Est e del Centro Europa potranno uscire solo investendo in nuove infrastrutture.
Investire nelle infrastrutture dell’Est Europa per far ripartire il Pil
Il contraccolpo sul Pil causato dalla diffusione della pandemia e dalle misure di contenimento necessarie per evitare la tragedia sanitaria, è oggi uno dei problemi principali dei governi europei. Questo contraccolpo – spiega il rapporto del Fondo Monetario Internazionale – potrà essere contenuto proprio grazie agli investimenti nelle infrastrutture. Nel caso dei paesi dell’Est e del Centro Europa – calcolano gli studiosi – ogni euro speso nel settore può garantire nel breve termine un ritorno pari a 0,5-0,8 euro per arrivare nel lungo termine a 1,7-2,5 euro.
A questo scopo sarà prezioso l’apporto del pacchetto di interventi Next Generation EU, approvato dall’Unione europea per contrastare la crisi del Coronavirus. Secondo gli analisti del Fondo Monetario Internazionale rispetto ai 750 miliardi di euro previsti dal Fondo, 212 miliardi saranno destinati proprio ai paesi dell’Est e del Centro Europa.
Una parte considerevole di queste risorse potrà essere destinata allo sviluppo di grandi progetti infrastrutturali, essenziali per uscire dalla crisi attuale e nel lungo periodo colmare parte di quel gap che ancora divide gli “ultimi arrivati” nell’Ue dai paesi che hanno dato vita all’Unione.
Dai trasporti all’energia, il ritardo da recuperare nelle infrastrutture dell’Est Europa
Linee ferroviarie, metropolitane cittadine, strade di grande scorrimento: sono i trasporti il punto debole sul quale indirizzare lo sforzo maggiore in termini di investimenti. In particolare nel trasporto su gomma, la qualità delle infrastrutture nei paesi oggetto dello studio è del 60% inferiore rispetto a quella degli altri paesi Ue, e 40% inferiore nel settore ferroviario.
Anche in questo caso nessuna generalizzazione è possibile perché ci sono alcuni paesi come la Slovenia, dove ad esempio il trasporto su ferro ha raggiunto un livello di modernizzazione molto elevato, mentre altri come la Bulgaria o il Kosovo, che sono ancora molto indietro.
Nella media, il Fondo Monetario Internazionale indica che lo sforzo da compiere è collettivo e proprio sulla portata di questo sforzo si giocherà il futuro economico di questi paesi.
Uno sforzo che – al di là del piano Next Generation EU – il Fondo Monetario arriva a quantificare in 1,15 trilioni di euro. Di questi, la quota più importante, pari a 530 miliardi di dollari, andrebbe investita per modernizzare strade, ferrovie, porti, aeroporti, impianti energetici e linee di telecomunicazione.
Investire nelle infrastrutture: il motore delle economie
Indirizzare lo sforzo finanziario sulle infrastrutture è una chiave di volta importante anche per i paesi più arretrati dell’Unione europea. Soprattutto in questa fase di crisi economica che rischia di mettere in ginocchio molte economie del Vecchio Continente.
Da qui il bisogno di tornare a credere nei grandi progetti, anche in paesi come la Slovenia, la Lettonia, la Polonia, che hanno vissuto momenti di grandi trasformazioni negli ultimi anni e che oggi – per via della pandemia – rischiano di subire una pericolosa frenata.
Progetti che negli scorsi anni erano stati avviati con piani molto ambiziosi e una prospettiva temporale di medio periodo. Su questa scia la Polonia ha lanciato nel 2018 il piano di costruzione di una rete ad alta velocità ferroviaria, da sviluppare entro il 2027 con un investimento complessivo di oltre 9 miliardi di euro.
Un piano che prevede una generale modernizzazione della rete ferroviaria del paese arrivando a creare un nuovo network capace di collegare tra loro in modo efficiente 120 città e 13 milioni di abitanti. La stessa strada intrapresa negli ultimi anni dalla Slovenia, che ha lanciato progetti per costruire nuove direttrici autostradali e un nuovo sistema ferroviario, il cui fiore all’occhiello sarà il collegamento tra il porto di Koper e l’hub di Divača, il più importante progetto infrastrutturale del paese.
Come Polonia e Slovenia, anche Romania, Lituania, Repubblica Ceca e molti altri paesi hanno scelto negli scorsi anni la strada del rinnovamento infrastrutturale. Un percorso che può essere battuto solo con investimenti e una visione sul futuro. Tutto quello che oggi è più prezioso per combattere la crisi del Covid-19.