Il design thinking strumento essenziale anche nelle infrastrutture

Intervista a Ileana Stigliani, professoressa associata all’Imperial College di Londra

Ileana Stigliani è professore associato di Design e Innovazione all’Imperial College di Londra e uno dei massimi esperti nello studio delle dinamiche che portano all’innovazione industriale. La prestigiosa pubblicazione internazionale “Poets & Quants” l’ha inserita tra i migliori professori italiani al mondo.

Il design thinking, ovvero l’approccio all’innovazione mutuato dal mondo del design e quindi improntato alla creatività, all’empatia, alla sperimentazione, può essere uno strumento essenziale per il management delle grandi aziende, anche e soprattutto nel settore delle infrastrutture.

Ne è convinta Ileana Stigliani, professoressa di Design e Innovazione all’Imperial College di Londra e già riconosciuta come una delle giovani professoresse italiane di maggior talento al mondo.

«Il management delle grandi aziende – spiega – può giovare moltissimo dall’utilizzo del design thinking sia internamente, quindi nella riprogettazione dei processi aziendali o dei modelli di lavoro dei propri dipendenti, siano essi operai, impiegati, dirigenti, manager, sia esternamente inteso come approccio all’innovazione che permette di capire meglio i bisogni e i problemi dei clienti. Questo approccio porta a sperimentare delle soluzioni innovative, grazie all’uso dell’immaginazione e del pensiero laterale, quindi è sicuramente una grande arma competitiva per tutti i settori».

Come definirebbe il design thinking?

«Il design thinking è un approccio all’innovazione che si presta particolarmente bene alla risoluzione di problemi complessi e caratterizzati da una elevata ambiguità, relativa alle cause dei problemi stessi e alle possibili soluzioni. E come approccio si fonda su alcuni principi fondamentali, primo tra tutti l’empatia, cioè la capacità di porsi nello stato d’animo, nella situazione e nell’esperienza di un’altra persona, ma anche sulla visione, sulla gestione creativa, sulla sperimentazione, sulla capacità di imparare dai propri errori invece di considerarli come dei fallimenti».

 

Perché a suo avviso anche il settore delle infrastrutture potrebbe beneficiare del design thinking?

«Il settore delle grandi opere infrastrutturali è probabilmente il settore che più si presta all’utilizzo del design thinking perché questo approccio all’innovazione diventa efficace quando il problema è complesso e ambiguo e quando c’è un sistema di portatori di interesse, quindi il committente pubblico, i cittadini, e tutti quegli attori che, sotto forme e responsabilità differenti, partecipano alla creazione delle opere infrastrutturali».

 

Il Covid-19 e la crisi che ne consegue hanno favorito lo sviluppo di un pensiero innovativo nelle aziende?

«Il Covid ha sicuramente acceso un faro sulla necessità di ridefinire e riprogettare tutti i nostri sistemi, quindi sicuramente ha aumentato l’enfasi sulla capacità di reinventarsi, sulla capacità di innovarsi, anche perché se non si innova in una situazione di crisi come quella che il Covid ha creato purtroppo si viene spazzati via dal mercato».

 

Quali sono i presupposti che muovono le scelte professionali dei giovani talenti?

«Per quello che ho potuto osservare, i giovani si stanno allontanando sempre più dalla logica del lavorare nella stessa azienda per 25, 30 anni. C’è sicuramente una maggiore volontà di fare esperienze diverse, di cambiare, di crescere, di lavorare sia nelle startup sia nelle imprese di piccole e medie dimensioni così come nelle grandi multinazionali. Ma soprattutto quello che fa la differenza e la farà sempre più è la possibilità, attraverso il proprio lavoro, di avere un impatto sulla società».

 

Intende dire che i giovani scelgono l’azienda dove lavorare in base alle sue politiche sostenibili?

«Sì, i giovani di adesso sono molto più sensibili alle grandi sfide della nostra società prima fra tutte la sostenibilità, quindi per loro è molto importante che l’azienda per cui lavorano abbia tra i propri obiettivi strategici il miglioramento della società per esempio, dell’ambiente e più in generale si ponga questioni su temi di elevato spessore».

 

Quanto è importante essere innovativi per i giovani?

«Quello che dico sempre ai miei studenti è che sviluppare una mentalità innovativa è la loro arma competitiva principale. Specialmente con l’avvento dell’intelligenza artificiale c’è questa grande paura di essere in un certo senso sostituiti dalle macchine o dai robot, però la differenza fondamentale la farà sempre più la capacità di essere creativi e di essere innovativi».

 

La creatività è innata o si può sviluppare con lo studio?

«Sicuramente la creatività ha una componente innata ma non si esaurisce solo in questo. La creatività si può anche coltivare, pensi che noi come specie umana se non fossimo stati creativi non ci saremmo evoluti nel tempo. Quindi la creatività si può insegnare, ma si può soprattutto aiutare a coltivare una serie di comportamenti che aiutano piano piano a sviluppare la creatività oltre che una maggiore sicurezza nelle proprie capacità».

 

Cos’è per lei l’innovazione?

«Per me l’innovazione o innovare è immaginare il mondo come potrebbe essere piuttosto che come è adesso, quindi innovare significa in un certo senso rompere lo status quo, alterare, cambiare, introducendo qualcosa di nuovo».

 

Le donne stanno conquistando lo spazio che meritano anche nel settore delle scienze ingegneristiche?

«Il ruolo delle donne è profondamente cambiato negli ultimi anni anche se c’è ancora molto lavoro da fare. Per portare a termine questo cambiamento sarebbe sufficiente che all’interno delle aziende si diffondesse la consapevolezza che la diversità, in generale, e in questo caso la diversità di genere è sicuramente un valore aggiunto. La diversità è fondamentale per innovare, proprio perché innovare significa immaginarsi il mondo come potrebbe essere. Se guardiamo lo status quo sempre dalla stessa prospettiva, quindi da una prospettiva monotematica, ci stiamo chiudendo a tante altre possibilità mentre invece aprire alla diversità, che può essere culturale, etnica o appunto di genere, non fa altro che arricchire la nostra prospettiva e aumentare le possibilità di poter immaginare il mondo in una maniera molto diversa».