Infrastrutture moderne e transizione energetica, la via obbligata oltre la guerra

L’economista Emilio Rossi: «il futuro delle economie avanzate rimane legato a questi due obiettivi»

Emilio Rossi è un economista italiano esperto di energia, innovazione e infrastrutture. Ѐ senior advisor del centro studi Oxford Economics e ha lavorato per le maggiori società globali di analisi e previsioni economiche tra cui Standard&Poors e IHS Markit.

«L’impatto del conflitto in Ucraina sulle economie globali, i rischi di un rallentamento del processo di transizione energetica, il ruolo centrale delle infrastrutture come volano di crescita e di sviluppo sostenibile: sono queste le sfide che le economie più avanzate dovranno affrontare nei prossimi mesi».

Una sfida che – secondo Emilio Rossi, economista e analista di Oxford Economics – andrà affrontata già nelle prossime settimane, per dare una risposta immediata agli effetti dell’invasione russa in Ucraina.

La crisi internazionale legata al conflitto ha riportato in primo piano il tema dell’autosufficienza energetica. Cosa può fare l’Europa per diventare autosufficiente e cosa l’Italia?

«Per l’Italia diventare autosufficiente significherebbe sostituire gran parte dei 33 miliardi metri cubi di gas che ogni anno vengono importati dalla Russia. Per riuscirci ci sono tre tipi di risposte: la risposta immediata, quella di medio termine e quella di lungo termine e di tipo più strategico. Nell’immediato per risolvere l’eventuale assenza del flusso di gas dalla Russia non dovremmo avere grandi problemi perché la quantità di scorte a disposizione dovrebbe essere sufficiente. Sempre nell’immediato c’è la possibilità di rafforzare flussi di gas dall’Algeria e da altri paesi del Mediterraneo e naturalmente c’è la questione dibattuta di rinviare la chiusura delle centrali a carbone.

Nel medio termine, quindi nel giro di un anno, si può intervenire investendo sul raddoppio della TAP. Questo non significa costruire un altro gasdotto ma fare investimenti sulle centrali di compressione consentendo così il raddoppio del passaggio di gas.

Nel lungo termine, invece, l’unica strategia possibile è quella di continuare a puntare sulla transizione energetica e quindi sul green. Rimane comunque aperto anche il dibattito sul nucleare, anche se – in questo caso – si tratta di decisioni da prendere in breve tempo perché in media ci vogliono dieci anni per costruire una centrale nucleare».

 

Il conflitto in Ucraina e la conseguente crisi energetica a suo avviso stanno accelerando il processo di transizione energetica oppure rischiano di farci compiere un balzo indietro?

«Per quello che riguarda l’impatto che questa guerra ha o potrà avere sulla transizione energetica e la sua velocità ci sono due considerazioni da fare. Il fatto che nel breve e nell’immediato sarà inevitabile purtroppo aumentare le emissioni. Tuttavia, la maggior parte delle soluzioni indicate mostra anche un’opportunità, perché nel lungo termine la risposta sarà quelle delle energie pulite. In sostanza, se nel breve periodo rischiamo un impatto negativo, nel medio e lungo termine il processo di transizione energetica subirà una netta accelerazione».

 

Che impatto può avere il conflitto sulla corsa dell’economia italiana?

«L’invasione russa dell’Ucraina avrà un inevitabile impatto sui paesi europei, compresa l’Italia. Se a livello mondiale per il 2022 ci si aspetta circa lo 0,4% di crescita in meno, Germania, Italia e i paesi più vicini alla Russia avranno invece percentuali più alte. Nel caso in cui il conflitto durasse poche settimane, potremmo pensare a un impatto transitorio che sarebbe compensato con una maggior crescita nell’anno successivo. E in questa situazione calcoliamo per l’Italia un calo di un paio di punti percentuali del Pil in due anni».

 

Il settore delle infrastrutture sta investendo molto nel rispetto dei principi legati agli ESG. Quanto conta la modernizzazione delle infrastrutture nel raggiungimento in uno sviluppo davvero sostenibile?

« La modernizzazione delle infrastrutture è essenziale per raggiungere uno sviluppo veramente sostenibile. Non solo in Italia ma anche negli Usa, così come in vari paesi europei gli investimenti nelle infrastrutture sono stati al palo per parecchi anni, anzi direi decenni. Un ammodernamento delle infrastrutture era nelle cose anche a prescindere dagli eventi degli ultimi due anni. Digitalizzazione, trasporto pubblico locale, ammodernamento delle reti di trasmissione e distribuzione dell’elettricità: sono tutti settori in cui è necessario intervenire al più presto».

 

Tra i progetti strategici indicati dal PNRR il governo punta molto sull’alta velocità ferroviaria. La mobilità sostenibile è uno strumento per compiere questa trasformazione energetica e insieme favorire la crescita economica?

« In questa fase storica, in cui l’umanità è chiamata a risolvere il problema della decarbonizzazione del pianeta, la mobilità sostenibile è un elemento fondamentale insieme all’utilizzo di fonti meno inquinanti. Più in generale l’alta velocità è essenziale per migliorare la produttività del sistema paese. L’impatto positivo sulle emissioni dipenderà poi anche da quanto si riuscirà sostenere la nascita di un sistema integrato dei trasporti e della logistica, coinvolgendo oltre alle infrastrutture di trasporto anche i grandi hub portuali e aerei».

 

Dagli Stati Uniti all’Europa, molti paesi hanno lanciato piani di sviluppo centrati proprio sul rilancio delle infrastrutture. Siamo di fronte a una nuova stagione di crescita sostenuta dalle grandi opere come accaduto in alcuni periodi del secolo scorso?

«A livello globale c’è una presa di coscienza della necessità di infrastrutture più moderne, più efficienti ma anche e soprattutto che abbiano un impatto ambientale minore. Che questo sia un periodo di grandi infrastrutture e investimenti è forse un po’ presto per dirlo, bisognerà vedere se al di là delle promesse seguiranno i fatti. Alla base delle promesse ci sono però le premesse, e dobbiamo dire che tanto negli Stati Uniti quanto in Europa le premesse per riammodernare il settore ci sono tutte».