Dare energia all’Africa

Il continente ha bisogno di investimenti per colmare il gap energetico più elevato al mondo

Nel mondo sono più di un miliardo le persone che non hanno accesso all’energia elettrica, e secondo il World Energy Council, la maggior parte di queste persone, almeno 620 milioni, vivono nell’Africa subsahariana. 
Nel corso del World Energy Congress del 2016 a Istanbul si è calcolato che il 70% della popolazione africana non ha accesso sicuro all’energia e, a eccezione di paesi come Kenya, Tanzania, Uganda e Sudafrica, la maggior parte non ha un sistema di infrastrutture in grado di garantire l’accesso alle fonti energetiche.

Lo stesso allarme è stato lanciato nel gennaio scorso dal World Economic Forum di Davos che ha dedicato una tavola rotonda proprio alla questione energetica africana. Colmare il gap energetico che oggi affligge il continente permetterebbe alla sua economia di crescere del 30% entro il 2040.
Al contrario, nel 2015 il tasso di crescita dei paesi a Sud del deserto ha raggiunto a fatica il 3% e, secondo le stime della Banca Mondiale, nei prossimi due anni rallenterà ancora. 

Consumi e demografia

Per sostenere la crescita economica è necessario investire in energia facendo cambiare rotta al trend attuale. Attualmente l’Africa consuma solo il 4% dell’energia prodotta su scala globale e – per spiegare al meglio l’enorme disparità rispetto ai paesi più sviluppati – secondo l’ultimo rapporto di Africa Progress Panel, un abitante della Tanzania impiega circa otto anni a consumare l’elettricità che un americano utilizza in un mese. 
Un problema che si è acuito anche per via del boom demografico che il continente ha vissuto negli ultimi dieci anni. L’esplosione della popolazione da 900 milioni a 1,2 miliardi di abitanti ha infatti creato una nuova generazione di individui che portano sul mercato i loro bisogni, tra i quali uno essenziale è proprio quello energetico.

Nairobi, Kenya

La sfida degli investimenti

Colmare il gap energetico è una sfida complessa che prima di tutto ha bisogno di investimenti. 
«In Africa ci sono ancora pochi programmi di sviluppo energetici», ha detto, in occasione della presentazione a fine 2016 del Poor People’s Energy Outlook, Paul Smith Lomas, direttore del Practical Action, ente che lavora con la Banca Mondiale e l’IEA (International Energy Agency) per migliorare l’accesso all’energia. «C’è bisogno di investire in formazione, per creare forza lavoro - ha aggiunto – perché le grandi compagnie non vanno dove non c’è personale adatto».

Qualcosa però si muove nel continente. A marzo 2017 la Banca Mondiale ha stanziato per i paesi più poveri dell’Africa subsahariana quasi 57 miliardi di dollari che saranno distribuiti nel corso dei prossimi tre anni e serviranno a portare a termine quasi 500 progetti infrastrutturali già in corso nella regione. «È un’occasione unica per le riforme e lo sviluppo – ha detto il presidente della Banca Jim Yong Kim – con questi obiettivi vogliamo lavorare con i nostri clienti per sviluppare programmi in sanità, agricoltura, cambiamenti climatici, infrastrutture e riforme istituzionali».
Anche la African Development Bank (AfDB) sta facendo la sua parte. Nel corso del Forum di Davos la presidente dell’Istituto, Akinwumi Ayodeji Adesina, ha infatti annunciato l’investimento di 12 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni da destinare proprio al settore energetico e in particolare su quello che viene chiamato “l’ultimo miglio”, ossia le infrastrutture che portano l’elettricità nelle case e negli stabilimenti delle imprese.
«Siamo stanchi di vedere l’Africa costretta all’oscurità» ha detto Akinwumi Ayodeji Adesina commentando i nuovi finanziamenti.
Tuttavia la disponibilità di fondi pubblici, ai quali si aggiungono quelli delle banche di sviluppo, non è illimitata e deve essere accompagnata dal sostegno dei privati. 
«Nel passato – ha spiegato intervenendo a Davos Cyril M. Ramaphosa, ex-Presidente del Sud Africa – abbiamo puntato sui governi affinché portassero l’energia nei nostri paesi; adesso abbiamo bisogno di coinvolgere il settore privato a sostenere lo sviluppo energetico delle nostre economie e delle nostre persone».

Qualcosa si muove

La strada da percorrere è ancora lunga, ma qualcosa è stato fatto negli ultimi anni. Secondo l’UNEP (United Nations Environment Programme), l’agenzia dell’Onu che opera per l’ambiente e contro i cambiamenti climatici, più di 15mila posti di lavoro sono stati creati nel corso del 2016 nell’Africa Subsahariana grazie alla realizzazione di nuove reti elettriche. Oltre al Sudafrica, anche Etiopia, Kenya, Tanzania stanno portando avanti progetti pianificati per l’energia che messi insieme rappresenteranno quasi l’80% del rifornimento idroelettrico nella regione subsahariana.

Discorso che vale soprattutto per l’Etiopia, dove Salini Impregilo è partner strategico del governo per trasformare il paese in un hub energetico di tutta la regione. L’inaugurazione di Gibe III, alla quale seguirà nei prossimi anni quella di Gerd (la più grande diga africana) e il nuovo progetto idroelettrico di Koysha, rivoluzioneranno la capacità di produzione energetica del Paese, garantendogli di esportare energia in tutta la regione.
In Sudafrica il progetto Ingula è giunto quasi al termine con la costruzione di un complesso di impianti con una potenza installata di 1.100 Mw, mentre in Congo devono ancora iniziare i lavori per la costruzione della Grand Inga Dam, un progetto faraonico per una diga che potrebbe essere terminata nel 2025 con un costo di 100 miliardi di dollari, ma che sarà in grado di produrre da sola 39mila Mw all’anno.  
L’idroelettrico rimane una delle leve strategiche per colmare il gap energetico in Africa