Ci vollero appena 90 minuti per installare la guglia d’acciaio; 90 minuti di preoccupazione, necessari per sollevare una guglia pesante 27 tonnellate e piazzarla a 280 metri di altezza, come una qualunque ciliegina sulla torta, in cima al Chrysler Building. Quel simbolo del grattacielo considerato uno dei più belli di New York City, doveva rimanere nascosto fino alla fine, non per magnificare l’ultimo miglio di una grande opera infrastrutturale, ma per ingannare i costruttori della Bank of Manhattan che al numero 40 di Wall Street avevano ingaggiato con quelli del Chrysler la gara per l’edificio più alto del mondo.
Quando la guglia venne piazzata sulla punta del grattacielo era una mattina d’ottobre del 1929, e fu il tocco finale per arrivare ai 320 metri di altezza che, almeno per un po’ (il record sarebbe stato superato 11 mesi dopo dall’Empire State Building), gli avrebbero assicurato il primato.
Il sogno di un magnate
Il mondo intero collega la storia del Chrysler all’idea visionaria di Walter P. Chrysler, il fondatore della nota casa automobilistica, che volle celebrare la sua creatura industriale realizzando un grattacielo dove l’estremità più alta avesse la forma del radiatore di un motore.
In realtà pochi sanno che il progetto di costruzione di quello che sarebbe poi divenuto il Chrysler era stato inizialmente finanziato da un ex-senatore dello stato di New York di nome William H. Reynolds, il quale incaricò di disegnare il grattacielo William Van Alen, un architetto nato a Williamsburg, un quartiere di Brooklyn.
L’opera nata dalla creatività dell’architetto, per la quale era stato già individuato il nome di Reynolds Building, era troppo onerosa per le finanze del senatore. Fu così che, il 15 ottobre del 1928 William H. Reynolds vendette il progetto e le concessioni a Walter P. Chrysler alla cifra di 2 milioni di dollari. Dopo averlo acquistato, fu lo stesso Chrysler a chiedere a Val Alen di rivedere il progetto per renderlo ancora più ambizioso prevedendo di dar vita all’edificio più alto del mondo.
Con questi presupposti nel 1928 venne aperto il cantiere. I lavori durarono fino al 1930, meno di tre anni per conquistare non solo un record mondiale, ma per dar vita a uno degli edifici ancora oggi più belli di Manhattan.
Il lusso nascosto
Gran parte del Chrysler Building è stata costruita all’interno dello scheletro del grattacielo. Durante il cantiere, tra il 65° e il 67° piano, vennero infatti allestiti i laboratori artigiani dove sono state lavorate alcune delle parti più significative dell’edificio, tra cui la guglia, le finestre, le lamine di metallo che coprono la facciata.
In pochi hanno avuto l’opportunità di visitarlo, ma chi ci è stato giura che il Cloud Club fosse qualcosa di incredibile. Diviso su tre piani (dal 66° al 68°) questo Club super esclusivo ospitò per anni i più grandi magnati di New York City che si ritrovavano per bere, giocare a carte, parlare di affari. Un tempo era possibile salire fino al 71° piano, ma oggi i piani alti del Chrysler sono chiusi al pubblico. Eppure, per capire la maestosità e la ricchezza interna è sufficiente affacciarsi nella lobby, decorata dal murale di Edward Turnbull dal titolo “Energy, Result, Workmanship and Transportation” che rappresenta non solo il grattacielo, ma tutti i lavoratori che lo hanno costruito.
Un’eredità perduta
Quando Walter P. Chrysler sposò il progetto del grattacielo, la sua azienda era la terza casa automobilista degli Stati Uniti d’America, dopo la Ford e la General Motors. La voglia di mettere la firma su un progetto così ambizioso si legava al desiderio di mostrare i successi dell’industria dando alla Chrysler una sede che fosse la più bella e la più rappresentativa al mondo. E infatti dal 1930 fino al 1950 il grattacielo rimase il quartier generale dell’azienda. Non oltre però. Il magnate era così innamorato di quell’opera da averla comprata personalmente, proprio perché fosse – non un bene del gruppo – ma un simbolo della dinastia e un lascito per i suoi eredi. E infatti nel 1940, quando Walter Chrysler morì, la proprietà dell’edificio passò nelle mani della sua famiglia, ma fu un interregno breve, perché nel 1953 il grattacielo fu venduto all’immobiliarista William Zeckendorf alla cifra di 18 milioni di dollari. E del magnate visionario che voleva a tutti i costi battere il record mondiale rimase solo il nome.