Demolire per ricostruire. Ovvero cancellare una traccia per sostituirla con una nuova e più innovativa, che sia interprete della modernità senza però tradire lo spirito della prima opera e senza lasciare da parte la sua eredità.
A volte ricostruire è una scelta obbligata. Accade spesso dopo i conflitti bellici e ne sanno qualcosa gli abitanti di Dresda, rasa al suolo durante Seconda Guerra Mondiale e rinata riportando alla luce i vecchi monumenti e adottando soluzioni architettoniche innovative per le case di nuova costruzione.
Altre volte ricostruire è invece l’espressione di una volontà di rinascita. La consapevolezza che un’opera, per quanto iconica, abbia fatto il suo tempo e che sia giunta l’ora di sostituirla con una nuova infrastruttura. La cronaca è ricca di esempi di questo genere, dallo Yankee Stadium del Bronx, a New York City, fino al Bay Bridge di San Francisco, in parte demolito dal terribile terremoto di Loma Prieta. Il tempo e l’innovazione ingegneristica impongono il principio del rinnovamento, soprattutto per quelle grandi opere che offrono un servizio alle persone e lo fanno al limite delle loro potenzialità. Qualcosa di simile è accaduto con il Canale di Panama che, dopo quasi 100 di “servizio”, è stato sostituito da un nuovo Canale che permette di raddoppiare la quantità di merce che passa dall’oceano Atlantico al Pacifico senza circumnavigare il continente americano.
Con l’intento di raccontare l’evoluzione delle infrastrutture strategiche, trasformate dall’uomo in simboli che sopravvivono perfino al tempo, “We Build Value” inaugura un viaggio attraverso alcune grandi opere demolite per essere ricostruite ed innovare tutto il contesto.
Sono testimonianze raccolte in giro per il mondo, che partono dallo stadio del Bronx, la casa dei New York Yankees abbattuta e ricostruita pochi anni fa, e passano attraverso l’imponente riqualificazione urbana di Mosca, la ricostruzione di due ponti strategici come il Bay Bridge di San Francisco e il Gerald Desmond Bridge di Long Beach, la demolizione del terminal 3 del JFK, per anni il terminal più grande del mondo, fino all’ultimo capitolo, dedicato a un progetto approvato ma non ancora compiuto, quello che riguarda la costruzione della nuova sede della banca JP Morgan Chase a Manhattan, che sarà accompagnata dalla demolizione di un edificio più imponente della storia.
Attraverso queste vicende emergono la portata e l’impatto delle grandi opere ingegneristiche, la loro capacità di divenire un simbolo suscitando nelle persone un forte senso di appartenenza, ma allo stesso tempo la tensione, mai rinnegata, al rinnovamento e il loro bisogno assoluto di modernità.