Hong Kong, la megalopoli ambientalista

La città cinese è all’avanguardia nei progetti di sostenibilità urbana

Grattacieli, cemento, strade affollate e una densità abitativa tra le più elevate al mondo (27.330 abitanti per chilometro quadrato, tre volte più grande rispetto ai 9.000 abitanti per chilometro quadrato di una città come Parigi). 
Questa è Hong Kong, la metropoli con una popolazione di circa 7 milioni di abitanti, di cui 140.000 stranieri che lavorano nei suoi uffici. Una città unica, con il numero più elevato di grattacieli al mondo (sono oltre 8.000 gli edifici che superano i 14 piani) e numerose infrastrutture strategiche come il ponte Tsing Ma, quello che collega l’aeroporto alla città, il più grande al mondo per la quantità di traffico trasportato (sei corsie di automobili e due binari ferroviari).
Eppure, dietro la facciata di megalopoli, Hong Kong nasconde una realtà di città moderna, sensibile alla qualità della vita dei suoi abitanti e con una spiccata attitudine al cambiamento e soprattutto alla sostenibilità.

Sarà per la sua posizione strategica (dal suo aeroporto è possibile raggiungere la metà della popolazione mondiale in meno di cinque ore di volo), sarà per la sua ricca economia (42mila dollari americani il Pil medio pro capite), ma la città ha lanciato negli ultimi anni piani di sviluppo ambiziosi e sostenibili, come l’Hong Kong 2030+ e, più recentemente, il Biodiversity Strategy and Action Plan, che prevede la creazione di parchi sia marini che terrestri. 
Il punto di partenza è quello di una metropoli efficiente e moderna dove è possibile trovare una stazione di metro o treno a 500 metri di distanza da qualunque punto della città e dove il 90% della popolazione utilizza mezzi pubblici. Ma soprattutto una città disposta a cercare soluzioni innovative per affrontare le sue sfide più grandi, prima tra tutte quella della mancanza di acqua.
La sua posizione, il microclima, la morfologia del territorio rendono l’acqua dolce un bene rarissimo, che l’amministrazione cittadina è costretta ad acquistare da alcune regioni centrali della Cina. Questa povertà di risorse ha convinto il Water Supplies Department (l’ente cittadino che gestisce l’approvvigionamento idrico) a trovare soluzioni alternative rispetto alle fonti idriche tradizionali.
Attualmente circa l’80% delle toilette cittadine utilizzano acqua di mare, che viene opportunamente trattata prima di arrivare nelle case. Nel corso del 2015 – indica il Water Supplies Department – sono stati garantiti alla popolazione 746.000 metri cubi al giorno di acqua di mare per le toilette e un ammontare equivalente è stato assicurato per l’acqua potabile, che passa attraverso un processo di desalinizzazione.

Hong Kong

Il futuro, per Hong Kong, passa per il trattamento sempre più massivo dell’acqua del mare, al fine di renderla potabile. Impianti capaci di fare questo sono attivi in città già dagli anni ’70, anche se le iniziative più innovative sono state lanciate solo negli ultimi anni.
La prima è l’Harbour Area Treatment Scheme (HATS), un impianto di gestione delle acque intorno al Victoria Harbour, il porto cittadino. I lavori sono partiti nel 2015 per la costruzione di un impianto costituito da un sistema di tunnel sottomarini lunghi circa 50 chilometri, in grado di trattare 2,8 milioni di metri cubi di acqua al giorno. 
Il secondo progetto, probabilmente il più grande oggi in via di realizzazione, prevede entro il 2020 la costruzione di un impianto di desalinizzazione capace di garantire il 5% del fabbisogno cittadino. La realizzazione dell’impianto costerà 9,3 miliardi di dollari di Hong Kong (1,1 miliardi di dollari Usa).
Il riutilizzo di una risorsa naturale come l’acqua di mare rientra nella filosofia più generale della città che ha deciso di sposare in pieno gli Accordi di Parigi sul clima del 2016, prevedendo all’interno dei suoi piani di sviluppo la tutela dell’ambiente e la crescita sostenibile in tutti i campi, dalle costruzioni all’energia, dai trasporti alla produzione industriale. 

«Il cambiamento climatico – dichiara all’interno del “Climate Action Plan 2030+” Matthew Cheung Kin-chung, Chief Secretary dell’Amministrazione cittadina – è un settore trasversale, un settore dominante con un impatto culturale e socio-economico su scala mondiale di vasta portata. Come parte del villaggio globale, Hong Kong ha bisogno di rispondere in modo proattivo (…). Io incoraggio ciascun membro della comunità a partecipare attivamente a questa causa. Impegniamoci tutti nel risparmio energetico, nella riduzione dei rifiuti, in uno stile di vita che porti a basse emissioni di carbone. Rimbocchiamoci le maniche per costruire una Hong Kong più verde».
Risponde esattamente a questo appello il progetto attualmente in fase di realizzazione del West Kowloon Cultural District, la più grande iniziativa culturale del suo genere al mondo: un centro polifunzionale con teatri, aree per concerti, una grande Opera House, un museo di arte moderna e un’arena con 15.000 posti a sedere. 
Il progetto è firmato dal celebre studio d’architettura Foster and Partners e prevede la realizzazione di un parco di 23 ettari progettato per ottenere un rating carbon-neutral. Questo significa che tutte le attività realizzate al suo interno saranno totalmente sostenibili, con impianti energetici moderni che utilizzano energia eolica e solare, e recuperano energia dagli scarti come i rifiuti.
In questo modo il West Kowloon Cultural District, che sorge proprio al centro della città, si candida a diventarne il simbolo, interprete della filosofia che oggi ispira la nuova Hong Kong, impegnata a dimostrare al mondo che anche una megalopoli può assicurare ai suoi cittadini modelli di sviluppo sostenibili e una qualità della vita elevata.