I templi di Ramesse II, un patrimonio dell’umanità

Intervista esclusiva a Ana Luiza Massot Thompson-Flores: l’impegno dell’UNESCO per salvare il sito di Abu Simbel dal pericolo di essere sommerso dalle acque
Come nasce l’idea di salvare i templi di Ramesse II?

«Nel 1954 venne annunciata la costruzione della diga di Assuan, che avrebbe creato un enorme lago artificiale capace di sommergere la parte Nord della Valle del Nilo da Assuan in Egitto fino a Dal Cataract in Sudan, un’area culturalmente molto ricca, conosciuta fin dall’antichità con il nome di Nubia.
Cinque anni dopo, nel 1959, i governi egiziano e sudanese hanno chiesto aiuto all’UNESCO per assisterli nella protezione dei monumenti e dei siti archeologici presenti nella Valle. A novembre di quell’anno, la 55esima sessione dell’Executive Board ha deciso che avrebbe lanciato un appello internazionale per il sostegno ai due governi. Con grande urgenza è stato così autorizzato un primo intervento perlustrativo per capire come avrebbe potuto essere salvaguardato il patrimonio di Abu Simbel.
Nel 1960 il Direttore Generale dell’UNESCO ha lanciato un appello agli stati membri inaugurando una campagna internazionale per la salvaguardia dei monumenti della Nubia. Il risultato di questa campagna è stato lo scavo di centinaia di siti archeologici, il ritrovamento di migliaia di oggetti e di diversi templi, i più famosi dei quali furono i templi di Abu Simbel e di Philae. Questa lunghissima campagna terminò solo il 10 marzo del 1980, con un incredibile successo».

Perché era così importante mettere al sicuro l’area archeologica di Abu Simbel?

«L’area archeologica di Abu Simbel ha un valore archeologico inestimabile per l’umanità. Al suo interno sono presenti monumenti unici come il Tempio di Ramesse II e il Santuario di Isis a Philae, che sono stati tratti in salvo dalle acque del Nilo.
I monumenti più famosi messi a rischio dalla costruzione della diga di Assuan erano quelli del complesso dei templi presenti sull’isola di Philae, dove era presente un santuario che era stato eretto in onore della dea egizia Isis e che nel 540 d.C. fu trasformato in una chiesa. Ma insieme a questo, molti altri monumenti erano messi a rischio dalla costruzione della diga, monumenti di enorme valore storico tanto che nel 1979 furono inseriti dall’UNESCO nella lista del Patrimonio dell’Umanità».

L’UNESCO allora lanciò un appello internazionale. Qual è stata la risposta?

«Anche se oggi appare a tutti ovvio che i templi avrebbero dovuto essere tratti in salvo dalla distruzione, all’epoca della costruzione della diga non era così chiaro. Parte dell’opinione pubblica avrebbe infatti preferito che i fondi necessari per l’operazione fossero utilizzati per iniziative contro la povertà».

Qual è stato il ruolo dell’UNESCO nell’ambito delle attività operative che hanno condotto al salvataggio dei templi?

«Nell’ambito della campagna internazionale, l’UNESCO ebbe il ruolo di coordinatore e intermediario tra gli stati donatori e i governi egiziano e sudanese. Nel 1960 venne creato un Comitato Esecutivo della campagna internazionale e fu istituito un fondo fiduciario per finanziare l’opera. Una volta terminata con successo la campagna vennero poi costruiti il Museo della Nubia ad Assuan e nel 1982 il Museo Nazionale della Civiltà Egiziana in Egitto».

Sul sito dell’UNESCO quella di Abu Simbel viene definita “la campagna internazionale che ha rivoluzionato l’approccio alla protezione del patrimonio mondiale”. Perché?

«La campagna internazionale fu un caso unico per l’attività dell’UNESCO fino agli anni ’60. Tutto si basò sull’idea semplice, ma rivoluzionaria, dell’eredità mondiale. In altre parole, il mondo ospita un’eredità culturale e naturale di valore universale, che l’umanità ha il dovere di proteggere.
Così il salvataggio dei templi di Abu Simbel rappresentò il primo esempio di questo nuovo impegno globale. E la costruzione della diga di Assuan in Egitto attirò per la prima volta una attenzione internazionale senza precedenti sulla protezione del patrimonio culturale. Allo stesso tempo, fino ad allora molte persone credevano che avrebbero dovuto scegliere tra la cultura e lo sviluppo economico. Ma l’UNESCO dimostrò in quell’occasione che il mondo poteva inseguire entrambi gli obiettivi».

Esistono altri esempi nel mondo di una grande mobilitazione internazionale per salvare il patrimonio storico di un paese?

«Ci sono moltissimi altri esempi di mobilitazione internazionale: Borobudur, Carthage, Angkor Vat, Venezia, solo per citarne alcuni. Tutte queste campagne furono focalizzate sulla protezione e la salvaguardia del patrimonio».

Abu Simbel è un caso incredibile di cooperazione internazionale. Assume un valore ancora più forte oggi che nella politica estera di molti stati sembra prevalere una posizione isolazionista?

«L’UNESCO ha moderato un dibattito internazionale sulla protezione dell’eredità culturale e ha agito come catalizzatore nella cooperazione. Recentemente l’Organizzazione ha lanciato un appello alla comunità internazionale per il salvataggio di Timbuktu, Bagdad, Aleppo e Mosul. A questo proposito il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha indicato l’UNESCO come primo promotore e coordinatore internazionale di numerose risoluzioni adottate nel palazzo di vetro di New York, ponendo così la nostra organizzazione al centro della battaglia contro la distruzione e il genocidio culturale».

A distanza di mesi rimane sotto gli occhi di tutti la distruzione dei monumenti di Palmira, la città siriana dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Che rischio corre il patrimonio storico e artistico dell’umanità e perché è tanto importante proteggerlo?

«Un punto di svolta in questo senso venne raggiunto negli anni Novanta, con la distruzione volontaria di un patrimonio mondiale: Dubrovnik, Sarajevo e nel novembre del 1993 del ponte di Mostar. Dal momento che la salvaguardia del patrimonio mondiale spetta all’umanità intera, l’Organizzazione ha adottato un approccio olistico coinvolgendo nel suo raggio di protezione l’intera eredità culturale. Non è un monumento ad essere minacciato o distrutto, è l’identità culturale e religiosa del genere umano che viene messa a rischio.
Dobbiamo quindi difendere questa eredità come una fonte di identità e coesione. Per questa ragione l’UNESCO è così convinto della salvaguardia del patrimonio culturale e naturale, in tutte le sue forme, tangibili e intangibili. Perché in un tempo di sradicamento e saccheggio culturale, la protezione della nostra eredità è parte integrante dell’intero processo di costruzione della pace».