Progetto Italia: andare oltre verso il futuro delle infrastrutture

Salini Impregilo lancia l’operazione di consolidamento industriale per creare un grande polo delle infrastrutture

La parola chiave è “beyond”. Oltre. E si accompagna a un obiettivo: superare lo stallo che il settore delle costruzioni in Italia vive ormai da dieci anni, rilanciare le sue aziende, far ripartire i cantieri delle opere infrastrutturali strategiche per lo sviluppo del Paese, tutelare il lavoro per decine, forse centinaia di migliaia di persone.
Per farlo la strada indicata è quella del Progetto Italia, un’operazione di consolidamento industriale lanciata da Salini Impregilo, principale player del mercato italiano, che punta a fondere insieme alcune delle principali società del settore per creare un player globale, solido sul mercato domestico e competitivo su quello internazionale.

Cos’è il progetto Italia

Si prevede di realizzare un’operazione di sistema, capace di sostenere lo sviluppo del Pil italiano con un contributo annuo che si aggira attorno allo 0,3%, attraverso il consolidamento di alcune delle imprese italiane del settore, sia quelle in situazione di difficoltà che quelle sane.
Si stima che il gruppo che nascerà sarà capace di salvaguardare tra il 300 e i 400 mila posti di lavoro, con un fatturato di 14 miliardi di euro e un portafoglio ordini di 62 miliardi. La sua forza, oltre alla presenza capillare sul territorio italiano, sarà quella di competere alla pari con i principali colossi mondiali delle infrastrutture, favorendo così l’export anche della filiera delle piccole e medie imprese italiane.
Nello specifico il piano prevede di mettere insieme Salini Impregilo, Astaldi (la seconda impresa italiana di costruzioni) e a seguire altre aziende operative sul mercato.

Un grande gruppo per difendere il lavoro

Attualmente il valore del settore costruzioni in Italia è pari a 160 miliardi di euro (l’8% del Pil), con circa 1,4 milioni di occupati e con tassi di crescita previsti dal Cresme (l’Istituto italiano di analisi sul comparto) che dovrebbero attestarsi intorno al 3% fino al 2021.
Accanto a questo trend positivo permane però la crisi di molte aziende e ben cinque delle prime dieci società di costruzioni (Astaldi, Condotte, CMC, Grandi Lavori Fincosit e Trevi) hanno avviato procedure di ristrutturazione del debito. Questo significa che il 30% dei ricavi del settore è congelato, e che 30.000 persone rischiano il posto di lavoro.
Un pericolo che si aggiunge alla perdita di 500mila posti registrata solo negli ultimi anni.
Progetto Italia punta a ribaltare questo paradigma.
Il consolidamento di queste aziende potrà garantire, infatti, oltre alla tutela immediata dei 30mila posti in crisi, il salvataggio nei prossimi cinque anni di 400mila posti di lavoro.

Cantieri bloccati: come farli ripartire

L’Italia vive da anni un blocco dei cantieri, di grandi come di piccole dimensioni. Uno stop causato in parte dalle crisi aziendali, e in parte dalla mancanza di fondi pubblici e complessità burocratica del sistema.
Il valore dei cantieri bloccati è pari a 36,4 miliardi di euro, ma raggiunge gli 86 miliardi se si considera anche l’indotto (dato Ance, Associazione nazionale costruttori edili).
Il loro numero varia a seconda delle fonti: il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha parlato pubblicamente di almeno 300 cantieri bloccati; la Filca, il sindacato di settore della Cisl ne ha censiti 600; secondo l’Ance i cantieri bloccati delle grandi opere (quelle che superano i 100 milioni di euro) sono invece 25.
La mappa dei cantieri bloccati – aggiunge l’Associazione costruttori – coinvolge oltre la metà delle regioni italiane, dal Piemonte – che detiene il triste primato di 9,1 miliardi di opere ferme – alla Liguria (6 miliardi), la Toscana (4,9 miliardi), il Veneto (3,7 miliardi) e così via.
All’interno ci sono le grandi incompiute italiane, dalla Tav Torino-Lione all’alta velocità Brescia-Verona, dalla Gronda di Genova all’autostrada Roma-Latina, dall’autostrada Cremona-Mantova alla rete delle tangenziali venete che dovrebbero collegare Verona, Vicenza e Padova.
Si tratta di grandi ma anche di piccole opere, al punto che l’Ance ha avviato l’iniziativa “Sbloccacantieri” chiedendo a tutti i cittadini di segnalare i cantieri fermi in giro per la penisola.
In questo senso il Progetto Italia, facendo ripartire alcune aziende oggi in crisi, garantirebbe lo sblocco di cantieri in 14 regioni italiane per un valore pari a 30 miliardi di euro.

Indotto e imprese fornitrici, la strada per crescere in Italia e all’estero

Per quanto i protagonisti diretti dell’operazione di consolidamento siano tutte grandi imprese, l’impatto del Progetto Italia si farà sentire anche su tutta la filiera della fornitura, dove operano piccole e medie imprese con competenze elevate e qualità uniche al mondo.
La sinergia tra il grande gruppo e il piccolo fornitore è uno degli elementi di forza del settore, capace di presentarsi all’estero con una compagine solida ma anche in grado di rispondere a tutte le richieste del cliente. È quello che già accade nei cantieri italiani dove operano Salini Impregilo e Astaldi. Negli ultimi tre anni le due aziende hanno contrattualizzato circa 4 miliardi di dollari con fornitori italiani, un valore pari al 90% delle forniture, generando in media ogni anno 20.000 posti di lavoro.
Un binomio, quello tra il grande e il piccolo, che viene esportato con successo anche all’estero, come ha dimostrato ad esempio la partecipazione alla realizzazione del Canale di Panama dell’azienda Cimolai che – nell’ambito del mega progetto gestito da Salini Impregilo – ha realizzato le chiuse del Canale.
Del resto, il mercato internazionale richiede da sempre elevate competenze tecniche, dotazioni tecnologiche, capacità organizzativa e di mobilitazione delle risorse umane: tutte esigenze che un grande gruppo garantisce in sinergia con i suoi fornitori.

La competizione con i big player, dentro e fuori i confini italiani

La competizione si gioca su più fronti, quello italiano, da sempre ampiamente frammentato, e quello mondiale, dove gli investimenti nelle infrastrutture aumentano a ritmi consistenti.
Ad oggi i giganti delle infrastrutture dominano i loro rispettivi mercati domestici. Il 60% dei primi 250 gruppi al mondo produce il 75% del fatturato in casa. È la storia di Vinci in Francia, ACS in Spagna, Skanska in Svezia, Strabag in Austria e molti altri.
L’Italia rimane indietro: Salini Impregilo, il primo gruppo del Paese, produce oltre il 90% del fatturato all’estero, mentre il settore è altamente frammentato, con 500.000 aziende attive di cui il 60% mono-dipendente, e appena 5 che fatturano più di un miliardo di euro, tre delle quali in profonda crisi.
Oltre il 27% del valore totale delle gare indette negli ultimi 15 anni è stato aggiudicato a competitor esteri. Alcune imprese italiane aggiudicatarie non esistono più, e la loro scomparsa dal mercato ha aperto ulteriori spazi ai competitor esteri, che arrivano in Italia portando con sé i loro fornitori di fiducia.
Con la crisi dei grandi gruppi italiani di respiro internazionale (Astaldi, Condotte, CMC, Grandi Lavori Fincosit e Trevi), questa posizione dominante di imprese estere sembra oggi rafforzarsi, riducendo ulteriormente la quota di fatturato domestico delle aziende italiane e quindi indebolendo il sistema produttivo del paese.
Si assiste tuttora ad un robusto consolidamento della presenza di colossi stranieri sul mercato domestico delle grandi opere. È il caso di STRABAG, che ha acquisito la Adanti, e SACYR, che opera con il Consorzio SIS, insieme a numerose altre imprese.
Un rischio significativo per un settore che in tutto il mondo viene considerato strategico per il sistema paese, alla stregua di quello energetico o delle telecomunicazioni.
Invertire questa tendenza è la prima sfida su cui sarà chiamato a misurarsi il sistema Italia insieme al nuovo polo italiano delle costruzioni.