Un maestro di impegno civile

FIN DAGLI ANNI TRENTA SI OPPOSE AL REGIME FASCISTA E AL REGIME NAZISTA TROVANDO NEGLI STATI UNITI LA SUA SECONDA CASA

«Sono un anziano artista, fra i primi a denunciare il fascismo di fronte al mondo. So e credo di poter interpretare lo stato d’animo del popolo italiano, popolo la cui voce è stata soffocata per più di vent’anni ma che ora, grazie a Dio, invoca pace e libertà nelle vie e nelle piazze d’Italia sfidando qualsiasi pericolo, inclusa la corte marziale». Correva l’anno 1943, il mondo era nel pieno di una terribile guerra e Arturo Toscanini, maestro d’orchestra osannato in tutto il mondo, parlava così di se stesso e del suo Paese.

A dire il vero, il direttore d’orchestra aveva avuto un prematuro quanto breve momento di simpatia per l’allora neonato fascismo italiano, di cui apprezzava le iniziali venature socialiste. Nelle elezioni politiche italiane del 1919 si era candidato nel collegio di Milano per la lista dei fasci di combattimento di Mussolini, senza però venire eletto.

Il rapporto fra il Maestro e l’Italia fascista era però destinato a vacillare di lì a poco: Toscanini non apprezzava per nulla il progressivo scivolamento autoritario di Mussolini, di cui divenne un crescente oppositore nel corso degli anni ’20.

Si arriva così all’episodio noto come “lo schiaffo” di Bologna, quando, dopo essersi rifiutato di dirigere l’Inno Reale e la “Giovinezza” (l’inno ufficiale del Partito nazionale fascista), il Maestro venne aggredito «e colpito replicatamente al viso da una masnada inqualificabile», come lui stesso protestò per iscritto con Mussolini.

L’episodio dello schiaffo chiuse definitivamente i rapporti fra il regime e Toscanini, che decise di non dirigere più nell’Italia fascista. Lasciata l’Italia, il Maestro cominciò la sua “crociata antifascista”. Chiuse ogni rapporto con la Germania nazista di Hitler, rifiutando ogni suo invito; abbandonò il Festival wagneriano di Bayreuth e disse addio anche all’amato festival di Salisburgo, dopo l’annessione dell’Austria al Reich tedesco. A Tel Aviv inaugurò l’orchestra di Palestina formata da esuli ebrei dell’Europa centrale, scappati dal nazismo. 

Toscanini davanti alla sua casa di Riverdale, New York.
Collezione privata.

Con il Concerto di Gala del 1938 a Lucerna fu il fondatore di un festival la cui fama, da allora, non ha fatto che crescere. In quegli anni così difficili, il Maestro raccolse nella città elvetica virtuosi di fama eccezionale costretti a lasciare le loro orchestre dai regimi nazifascisti.

L’impegno di Toscanini contro il nazifascismo e a favore della costruzione di una società democratica divenne un punto di riferimento per molti intellettuali e artisti. In quegli anni scrisse anche un famoso editoriale chiamato To the people of America, pubblicato nel settembre del ’43 sulla rivista Life. Era un appello al governo e al popolo degli Stati Uniti riguardo l’atteggiamento da assumere dagli Alleati nei confronti degli italiani, costretti nel ruolo di nemici «da un uomo vizioso e malvagio, Mussolini, che ci tradì per oltre vent’anni».

Finita la guerra, Toscanini riuscì a rientrare in Italia e a tornare all’amato Teatro alla Scala, ricostruito dopo i bombardamenti. E ovviamente, quella sera dell’11 maggio 1946 in cui il teatro riaprì i battenti, chi se non lui poteva dirigere quello che passò alla storia come il “Concerto della Liberazione”?

Poche settimane dopo, nel referendum del 2 giugno in cui il popolo italiano scelse fra monarchia e repubblica, Toscanini votò a favore di quest’ultima. Fino all’ultimo, Maestro non solo di musica ma anche di impegno civile e democratico.