Mettilo via: è di cattivo gusto leggere quello che scrivono sul tuo conto», disse Arturo Toscanini a Friedelind Wagner che gli stava mostrando un articolo. Evidentemente la loro partenza per New York, rinviata per maltempo, aveva interessato qualche giornalista locale a Buenos Aires, dove i due si trovavano in quel momento. Ma a dispetto del precetto sancito in queste parole, Toscanini non era affatto disinteressato a quel che si scriveva di lui. E anzi era sempre aggiornato sugli articoli che lo riguardavano. Tanto poi bastava negare di averli letti. Un caratteraccio, senza ombra di dubbio, ma la sua genialità musicale ha finito per rendere simpatico anche questo.
Simbolo stesso della direzione d’orchestra, entrato nella storia della musica con uguale peso dei colleghi compositori, Toscanini è stato una delle prime pop star moderne, per la sua costante presenza sui media. Forse suo malgrado, forse no. Refrattario a concedersi alla stampa, diffidente verso le nuove tecnologie di registrazione e diffusione musicale - perché distorcevano il suono – nei fatti Toscanini non fu ostile né alle novità né alla popolarità.
Fin dagli anni venti incise dischi, cominciando da quelli di cera, e diresse in onde lunghe e corte decine di concerti con la sua NBC orchestra, creata per lui nel Nuovo Mondo, che l’aveva accolto con lungimiranza artistica e notevole fiuto di marketing. Fu persino il secondo direttore, a distanza di un’ora dal primo, ad essere trasmesso in televisione negli Stati Uniti. E non si contano le copertine che le riviste gli dedicarono, su tutte Time e Life.
Il suo concerto di addio con la New York Philarmonic-Symphony Orchestra, il 29 aprile del 1936 alla Carnergie Hall di New York, è un evento mediatico senza precedenti, con i biglietti esauriti lo stesso giorno dell’annuncio. Il “New York Times” segue l’evento e scrive che la mattina del concerto una folla di 5.000 persone raggiunge il teatro alla disperata ricerca di una possibilità per assistere al concerto.
I media continuano a seguirlo come una stella, e durante la sua esperienza con la NBC Symphony Orchestra, che dirigerà fino al 1954, la musica di Toscanini sarebbe arrivata a milioni di americani, attraverso la radio, un matrimonio artistico reso possibile dalla volontà di David Sarnoff, presidente della RCA, cui la NBC era affiliata. Il debutto con la NBC Symphony Orchestra viene trasmesso la notte di Natale del 1937 via radio, con 50.000 richieste di persone interessate ad assistere dal vivo nella sede della NBC.
L’importante era stare alle sue regole. Sono rimasti leggendari i suoi rifiuti di materiali dopo le registrazioni: intere facciate di dischi da rifare, con orchestre e tecnici richiamati negli studi e case come la Victor terrorizzate dalle spese da sostenere per il perfezionismo del direttore, sempre insoddisfatto dalla tecnologia di allora. Ma oggi, sotto quel rumore superficiale ridotto nei decenni da pazienti martiri discografici, si può ancora sentire della musica meravigliosa, il suono unico del direttore che per primo – forse insieme a Mahler – ha posto su di sé l’intera responsabilità di un’esecuzione.
Sempre a proposito di gran rifiuti, non si può non fare riferimento alle offerte cinematografiche, che arrivavano numerose da Hollywood con cachet da centinaia di migliaia di dollari. L’unico che prese sul serio fu Max Ophüls a Parigi, a cui inizialmente disse di sì, forse per il suo film dall’opera di Smetana La sposa venduta, che Toscanini amava molto.
Accettò però di comparire in un cortometraggio propagandistico americano durante la guerra, dirigendo Verdi ovviamente: ouverture della Forza del destino e Inno delle nazioni a cui aggiunse di persona gli “alleati mancanti”, e cioè l’Internazionale, cara ai movimenti socialisti e comunisti di tutto il mondo, e The Star-Spangled Banner, l’inno nazionale statunitense.
Insomma, per fortuna che i giuramenti di Toscanini furono spesso spergiuri. Mai per cattiva fede, piuttosto per impulsività. Ma questa sua ambiguità con cui si chiamava fuori, a voce, per poi rientrare nei fatti fu provvidenziale: per motivi musicali, certo, ma anche umanitari e politici. Non a caso, rientrato in Italia nel ‘46, fu lui a riaprire la Scala ricostruita con un concerto leggendario, amplificato in piazza e trasmesso in radio, in modo che Rossini, Verdi e Puccini con le loro note potessero rassicurare proprio tutti che l’incubo bellico nazifascista era finito.