Petra: la città nella roccia salvata dalla task force italiana

Petra, la città nella roccia giordana, è minacciata da piogge ed erosione: ecco gli interventi per salvarla.

Nessun Paese detiene più siti riconosciuti come patrimonio dell’Umanità dall’Unesco dell’Italia, con una lista che si è allungata sempre di più negli ultimi anni: le colline del prosecco di Conegliano Veneto e Valdobbiadene, Ivrea, la Palermo arabo-normanna, le ville medicee e via dicendo. Questo non significa, però, che il know-how e l’esperienza italiana debbano concentrarsi unicamente sulla cura e sulla salvaguardia dei siti localizzati nel nostro Paese. Al contrario, lo spirito che sta dietro alla lista aggiornata di anno in anno dall’Unesco è proprio quello di instaurare una continua collaborazione tra i diversi Paesi per preservare queste aree preziose dal punto di vista culturale e/o naturale, come successo ad esempio per il salvataggio dei templi di Abu Simbel in Egitto. Non deve quindi stupire il fatto di ritrovare dei professionisti italiani al lavoro in Giordania, presso lo stupendo sito archeologico di Petra, per rimettere in sicurezza particolari aree della città scolpita nella roccia.

Petra, la città nella roccia

La preservazione di Petra, città scolpita nella roccia, è fondamentale per la Giordania: si tratta infatti di un Paese che poggia in gran parte sul turismo, settore che garantisce circa il 20% del Pil. Ad attirare i visitatori, negli ultimi decenni, sono state sia le bellezze naturali, come il deserto e il monte Nebo, sia quelle culturali, come le grandiose rovine di Jerash e – soprattutto – il sito archeologico di Petra.

A minacciare il flusso di turisti in territorio giordano negli ultimi anni, come è noto, sono state la guerra in Siria, l’instabilità mediorientale e il pericolo di infiltrazioni da parte dell’Isis. Tra il 2018 e il 2019, però, i numeri sono tornati a crescere, infondendo nuova speranza per il settore turistico giordano. E Petra è, senza ombra di dubbio, la punta di diamante dell’offerta di questo Paese arabo. Posta a 250 chilometri a Sud dalla capitale Amman, è stata una città semitica, e quindi capitale dei Nabatei, per poi essere abbandonata nell’VIII secolo per via di catastrofi naturali, nonché per il venir meno del commercio nell’area. Dimenticata per secoli, Petra è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO il 6 dicembre 1985, per poi essere inserita in un più vasto Parco nazionale archeologico nel 1993. Nel 2007, infine, Petra è stata nominata tra le sette meraviglie del mondo moderno. Come anticipato, a proteggere questo importantissimo sito archeologico, negli ultimi anni, è stata anche l’Italia.

Il primo intervento italiano a Petra nel 2011

A minacciare il sito archeologico di Petra, come spesso accade, è prima di tutto la pioggia, soprattutto in caso di precipitazioni abbondanti. Per mettere in sicurezza la città scavata nella roccia si è deciso di mettere insieme antiche conoscenze e le più avanzate tecnologie, ricorrendo anche a delle competenze estere, come per esempio quelle italiane.

Nel 2011 il sito archeologico di Petra è stato il luogo di lavoro per un team di rocciatori italiani, i quali sono stati interpellati per mettere in sicurezza il lungo e suggestivo canyon attraverso il quale i visitatori possono raggiungere il cuore della città di pietra. E si può certamente dire che questo intervento è stato l’incontro tra antico e avveniristico, con la squadra a servirsi di muli per il trasporto di materiale e, allo stesso tempo, di scanner tridimensionali laser.

L’obiettivo di questo primo intervento italiano a Petra è stato quello di mettere in sicurezza il passaggio, bloccando o eliminando le pietre pericolanti che minacciavano i visitatori e le guide lungo il Siq, lungo circa un chilometro. A coordinare il lavoro sono stati Cnr e Ispra, potendo contare non solo sul laser 3D, ma anche su strumenti per la fotogrammetria, nonché su un interessante software – chiamato sistema Gis (geographic information system) – in grado di analizzare i dati relativi al territorio e di interpretarlo in base alle più diverse esigenze. Una volta messo in sicurezza il passaggio, la squadra italiana di rocciatori alpini ha offerto un corso di sicurezza ai tanti giordani che, ogni giorno, per diverse attività, si arrampicano sulle pareti scoscese del sito archeologico di Petra. E questo è stato solamente il primo degli interventi italiani presso la “meraviglia del mondo moderno” giordana.

Il secondo intervento italiano a Petra, nel 2019

Il secondo intervento italiano a Petra ha avuto luogo l’anno scorso, nel 2019, e si è concentrato su un edificio specifico delle Tombe Reali, ovvero presso la Tomba del Palazzo. Un pizzico di italianità, va detto, sarebbe presente fin dall’inizio in questa particolare costruzione: il nome di questa struttura deriva infatti dalla peculiare imitazione da parte dei costruttori arabi antichi di un palazzo dalle fattezze romane. Si tratta infatti una facciata scavata nella roccia con due porte centrali sovrastate da timpani triangolari e quindi, più in alto, da un ordine di 18 colonne.

L’intervento italiano è stato dettato da una particolarità di questo palazzo, il quale nella parte posteriore nasconde un grande serbatoio d’acqua, dal quale si dirama una ricca rete di tubazioni. Queste ultime, però, nel corso dei secoli si sono rovinate sempre di più, dando il via a delle infiltrazioni di acqua piovana. Il team di archeologi italiani, affiancati da scienziati del Cnr e da ricercatori dell’Università di Urbino, sono stati quindi chiamati a rimettere in sesto questo sistema idrico, per proteggere uno dei monumenti più importanti di Petra. L’intervento è stato reso possibile dall’utilizzo di tecnologie avanzate, come scanner 3D e droni. Ed è stato tra l’altro proprio un drone, non molto tempo fa, a scoprire un nuovo importante sito archeologico nei pressi di Petra.

Un drone scopre un enorme monumento vicino a Petra

Ha fatto notizia, non molto tempo fa, la scoperta di un grandissimo monumento nei pressi della città di Petra, a soli 800 metri dal centro della città di pietra. A individuare questo complesso dimenticato per secoli sono stati Sarah Parcak, del National Geographic, e Christopher Tuttle, direttore esecutivo del Council of American Overseas Research Centers, i quali si sono serviti di immagini satellitari e di immagini scattate da un drone. Non si parla, va detto, di un monumento di dimensioni ridotte: il nuovo sito archeologico sarebbe infatti più lungo di una piscina olimpionica.

Le nuove tecnologie – unite alle migliori competenze – si rivelano ancora una volta cruciali per la protezione e la salvaguardia dei più importanti siti archeologici del mondo.