Dall’Australia al Portogallo, la “batteria ad acqua” sta cambiando il mondo dell’energia

I maxi impianti idroelettrici permettono di stoccare energia pulita e di consumarla solo quando serve

Come produrre energia pulita soltanto quando serve? Con una “batteria ad acqua”, conosciuta in tutto il mondo come water battery. È questo il gergo tecnico con cui viene indicato un “pumped hydro energy storage” (PHES), ovvero un impianto idroelettrico di pompaggio, studiato per produrre energia sfruttando il moto dell’acqua. Si tratta di un sistema sempre più diffuso presente in Europa, Stati Uniti, Cina e in Australia.

Il funzionamento è semplice. Nei periodi in cui l’energia prodotta è maggiore di quella richiesta, la quantità in eccesso (invece di essere dispersa) viene utilizzata per attivare turbine che pompano acqua in un sistema di tunnel, da valle verso un punto rialzato (generalmente sulla cima di una montagna) dove si creano veri e propri laghi artificiali.

Quando l’energia scarseggia, invece (perché le fonti alternative come eolico e solare non riescono a produrne a sufficienza), le chiuse dei bacini vengono aperte e l’acqua inizia la sua corsa verso valle rimettendo in movimento le turbine che in questo modo producono energia.

Secondo un recente studio dell’Università di Stanford – rilanciato anche dalla stampa britannica – controllare lo stoccaggio e la gestione dell’acqua in questi impianti è il modo più efficace e green per assicurare la stabilità energetica. Non a caso, tutti i paesi sviluppati stanno investendo in questa tecnologia considerata lo strumento migliore per completare la transizione verso un’economia green.

La chiave tecnologica per uno sviluppo sostenibile

Oggi che il mondo si muove verso la produzione di energia sempre più green (l’Europa conta di arrivare nel 2030 al 50% di fabbisogno energetico coperto con l’eolico), le caratteristiche di questi impianti vengono messe al servizio di uno sviluppo sostenibile. Attualmente, infatti, secondo i calcoli dell’International Energy Agency, oltre il 90% dell’energia stoccata nel mondo dipende proprio dai pumped hydro energy storage.

Tra i maggiori investitori in questa tecnologia ci sono l’Australia, gli Stati Uniti, la Cina e naturalmente l’Europa. In Gran Bretagna sono attivi quattro grandi impianti distribuiti tra Scozia e Galles. Secondo i calcoli dell’autorità energetica britannica, se il paese vuole raggiungere il 100% di energie pulite entro il 2050 ha bisogno di impianti che assicurino una capacità di stoccaggio cinque volte superiore a quella attuale. Ecco perché, lo scorso ottobre, il governo ha lanciato un piano di sviluppo energetico che prevede proprio la costruzione di nuovi impianti idroelettrici di pompaggio. «Sviluppando questo piano miglioreremo la nostra capacità di stoccare energia», ha dichiarato il Ministro dell’Energia Michael Shanks. «In questo modo ci faremo trovare pronti quando solare ed eolico non saranno sufficienti per rispondere ai nostri bisogni».

Un altro dei vantaggi degli impianti di stoccaggio energetico emerge da uno studio del governo britannico, secondo cui realizzando queste infrastrutture idriche con capacità di stoccaggio pari ad almeno 20 GW di energia, si assicurerebbe alle casse dello stato – tra il 2025 e il 2050 – un risparmio di 24 miliardi di sterline (28 miliardi di euro) sulla bolletta energetica.

Rimanendo in Europa, merita attenzione anche il caso del Portogallo che ha investito oltre 1 miliardo di euro per la costruzione del Tâmega Gigabattery, il più grande progetto di accumulo idroelettrico del Paese dotato di una potenza di oltre 1,1 GW. Questo impianto è in grado di generare energia sufficiente a ricaricare le batterie di 400.000 veicoli elettrici o di sostenere il bisogno giornaliero di 2,4 milioni di abitazioni. Tâmega sostiene l’ambizione del Portogallo di produrre la quasi totalità dell’energia da fonti rinnovabili: oggi il Paese può contare sul 61% dell’energia prodotta da energie rinnovabili, mentre programma di arrivare all’85% entro il 2030.

Snowy 2.0: il più grande progetto di energia green dell’Australia

Sulle Snowy Mountains (parte delle Alpi Australiane), situate nello stato del Nuovo Galles del Sud, questo tipo di impianti esiste da anni. Il più remoto è lo Snowy Hydro-electric Scheme, inaugurato nel 1974 e nato tanto per favorire l’irrigazione dei campi quanto per produrre energia pulita per gli stati del NSW, Australian Capital Territory e Victoria. Si tratta di un mega sistema costituito da 8 centrali elettriche, 16 grandi dighe, 80 chilometri di acquedotti e 145 chilometri di tunnel interconnessi.

Oggi, a oltre cinquant’anni di distanza, su quelle cime è in corso un progetto strategico di espansione del primo sistema. Si chiama Snowy 2.0 e lo sta realizzando il Gruppo Webuild con la sua controllata australiana Clough e la joint venture Future Generation, per conto di “Snowy Hydro Limited”. Di grande complessità ingegneristica, porterà la capacità di generazione di energia elettrica da 4.1 a 6.3 GW. L’acqua, che verrà prelevata dal bacino idrico Tantangara a 1.230 metri sul livello del mare, scorrerà nel primo tratto di un tunnel (con diametro di 10 m) scavato nella roccia; poi attraverserà un tunnel inclinato che scende con un dislivello di 700 metri nella montagna e fuoriesce nel bacino idrico inferiore di Talbingo, a 540 metri sul livello del mare. La parte clou del progetto è la centrale idroelettrica: a 800 metri di profondità nella montagna, con un volume di 523.000 metri cubi, è la più grande mai realizzata a queste profondità.

Snowy 2.0,  aumentando la capacità di stoccaggio, sarà in grado di generare abbastanza elettricità all’occorrenza e distribuirla rapidamente fino ad alimentare tre milioni di case per una settimana. Inoltre, stabilizzerà la fornitura di energia elettrica della Costa Orientale e impedirà l’emissione di 10 milioni di tonnellate all’anno di CO2.