Energia green, nuova vita per le vecchie miniere australiane

Timothy Weber, research officer dell’Australian National University: «Abbiamo individuato siti riconvertibili in impianti idroelettrici con cui l’Australia raggiungerebbe il 100% di produzione energetica da fonti rinnovabili».

Utilizzare immagini satellitari per identificare i siti in cui realizzare nuovi impianti idroelettrici a pompaggio, ritenuti la più efficace forma di stoccaggio dell’energia elettrica. È questo l’obiettivo dell’Australian National University 100% Renewable Energy, gruppo di ricerca dell’ateneo di Canberra sullo sviluppo di nuove fonti di energia rinnovabile. Il team ha identificato tra i siti utilizzabili per la realizzazione di questo tipo di centrali anche i cosiddetti brownfield, in particolare quelle aree dismesse per l’estrazione mineraria e che potrebbero essere riconvertite. Ce ne parla uno dei membri del gruppo di ricercatori australiani, Timothy Weber, reaserch officer dell’Australian National University, che parte da un dato di fatto. “Le centrali idroelettriche di pompaggio (impianti che trasformano l’energia idraulica di un corso d’acqua o di un bacino – anche artificiali – in energia elettrica rinnovabile, ndr) anzitutto richiedono l’utilizzo di minor quantità di acqua rispetto alle tradizionali centrali alimentate da combustibili fossili e in più riciclano quella utilizzata senza sprecarla. Insomma, sono una soluzione che punta a preservare una delle risorse più preziose che abbiamo sostenendo in modo efficace la transizione energetica. Con i nostri studi – continua Timothy Weber – abbiamo identificato 904 miniere dismesse in tutto il mondo che potrebbero diventare la sede ideale dove costruire impianti di stoccaggio energetico con una capacità complessiva di ben 30 TWh. Soltanto in Australia esistono 37 vecchie miniere che hanno tutto il potenziale per sostenere questa transizione energetica su cui stiamo lavorando».

Tra i siti i australiani individuati dal team dell’Australian National University ci sono le miniere di carbone di Coppabella nel Queensland e quella di Leigh Creek nel South Australia, la miniera d’oro di Cadia Hill nel New South Wales e le miniere di ferro nella Western Australia. Una volta convertiti in impianti idroelettrici a pompaggio si raggiungerebbe una capacità di stoccaggio pari a 540 GWh. Per fare un paragone, la centrale nucleare più grande d’Europa e che si trova in Finlandia produce 1.6 GWh.

Perché proprio le vecchie miniere sono i siti ideali da convertire in impianti idroelettrici di stoccaggio energetico?

«Uno dei grandi colli di bottiglia per la transizione energetica dell’Australia, in questo momento, è la costruzione di nuove linee di trasmissione elettrica. Parte della sfida è negoziare con tantissimi proprietari terrieri privati ​​per farle passare attraverso le loro terre. Di contro, utilizzando un sito minerario che già dispone di impianti elettrici, licenza idrica, una fonte d’acqua nelle vicinanze, alloggi e magari anche un accesso stradale tutto diventerebbe più veloce per la loro riconversione in centrali idroelettriche. Esempi di vecchie miniere trasformate in impianti di stoccaggio energetico ci sono già in tutto il mondo a partire dal Nord del Galles (Regno Unito), dove la centrale elettrica di Dinorwig opera da più di 30 anni».

Questi 37 siti australiani che impatto avrebbero per lo sviluppo sostenibile del paese?

«In base agli studi condotti finora, possiamo dire che si arriverebbe a un ammontare di energia stoccata variabile tra i 550 e i 950 GWh. Questo risultato basterebbe all’Australia per raggiungere il 100% di produzione energetica da fonti rinnovabili. La sola energia dell’impianto idroelettrico di pompaggio Snowy 2.0 (in fase di realizzazione nella regione delle Snowy Mountains – per conto della Snowy Hydro Limited – dal Gruppo Webuild e dalla sua controllata australiana Clough con la joint-venture Future Generation, ndr) sarà già pari a 350 GWh, equivalente a una grossa fetta del fabbisogno stagionale. A questo si aggiungerebbero anche quei 37 siti individuati sul nostro atlante delle aree dismesse che offrirebbero un ulteriore potenziale di stoccaggio energetico pari a 540 GWh».

Quali sono le principali sfide da affrontare per convertire le vecchie miniere?

«Una delle sfide da affrontare con le vecchie miniere a cielo aperto è legata sicuramente a come sono state scavate. I loro costoni, essendo molto ripidi, potrebbero aggiungere complessità alla costruzione degli impianti di pompaggio. La pendenza incide anche sulla pressione dell’acqua che corre nei tunnel dell’impianto stesso e quindi richiede l’utilizzo di particolari tecniche di costruzione. Un’altra sfida è quella della contaminazione. Se in queste miniere sono ancora presenti solfuri derivanti dal vecchio processo di estrazione, questi ultimi possono trasformarsi in acido solforico quando si mescolano con l’acqua e ciò può portare alla contaminazione delle falde acquifere o dell’ambiente locale. Quindi potrebbero essere necessari interventi di rivestimento dei serbatoi idrici per proteggerli dalle eventuali infiltrazioni nel terreno».

Dove si prende invece l’acqua per trasformare queste vecchie miniere in veri e propri serbatoi?

«Il vantaggio di un sito minerario è proprio questo, ovvero la possibilità che possa ancora avere la licenza mineraria e un’infrastruttura attiva di pompaggio dell’acqua. Naturalmente è poi fondamentale la vicinanza a fonti idriche, come falde acquifere, bacini e fiumi che si trovano nei pressi. Ricordiamo nuovamente poi che l’idropompaggio può riciclare l’acqua avanti e indietro anche per cento anni. Quindi, dopo il riempimento iniziale, è necessario rabboccare solo piccole parti per l’evaporazione e le infiltrazioni e il gioco è fatto…