Addio al gas russo: il rebus delle infrastrutture che mancano

Dai porti ai gasdotti, l’Europa alla ricerca di nuove infrastrutture per affrancarsi da Mosca

La guerra in Ucraina e la corsa di tanti paesi dell’Unione europea a reperire fonti di approvvigionamento di gas naturale differenti dalla Russia, ha aperto su tutto il continente la questione centrale delle infrastrutture: i porti, necessari per accogliere le grandi navi che trasportano gas liquido, e le pipeline ovvero i gasdotti che dai porti europei dovrebbero trasportare il gas in tutti i paesi membri dell’Unione.

Attualmente il porto di Rotterdam, il più grande scalo portuale del continente, ha raggiunto la sua capacità di accoglienza e stoccaggio di gas naturale liquido. Intervistato dal “Financial Times”, Allard Castelein, il chief executive dell’autorità portuale di Rotterdam ha dichiarato: «Il gas naturale liquido rappresenta una sfida. Sicuramente influirà su tutte le altre merci che importiamo oltre al fatto che un tank per lo stoccaggio di gas naturale non si costruisce in una notte».

L’allarme lanciato da Rotterdam rimbalza in tutto il continente e trova una sponda in Spagna. La Spagna, al contrario dell’Olanda, ha sei terminal attrezzati, molti di più rispetto alla quantità di gas liquido che viene portato sulle sue coste. Questo perché non ci sono pipeline sufficienti per trasportare il gas che arriverebbe sulle coste fino in Francia e in altri paesi europei. L’unico progetto di costruire il gasdotto Midcat è rimasto fermo per anni e adesso non sembra più realizzabile. In sostanza, i due gasdotti operativi che oggi attraversano i Pirenei sono in grado di trasportare solo un decimo della capacità di importazione spagnola di gas naturale.

Alternative difficili al gas russo

I capi di stato europei stanno intensificando i loro viaggi istituzionali per trovare soluzioni alternative al gas russo, siglando accordi commerciali soprattutto con i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Un impegno ormai giornaliero che dovrebbe riuscire a coprire il 40% del fabbisogno di gas del continente, la quota che oggi è garantita dalle forniture russe.

Nonostante gli accordi, il problema a valle che si presenta a tutti i paesi europei è proprio quello delle infrastrutture in grado di accogliere e trasportare questa preziosa materia prima.

La Germania, uno dei paesi maggiormente dipendenti dal gas di Mosca, ad oggi non ha ancora neanche un terminal in grado di stoccare gas liquido. Nel frattempo, per ovviare in parte al problema, il governo tedesco ha noleggiato quattro grandi navi in grado di assicurare il processo di trasformazione del gas, da liquido a gassoso, utilizzandolo per le forniture energetiche.

Intanto l’Unione europea sta lavorando per adottare nuove misure e investimenti con cui rispondere alla carenza infrastrutturale del continente, un tema su cui si era pronunciato anche il primo ministro del Portogallo, Antonio Costa, nel corso del vertice di marzo con Italia, Spagna e Grecia.

«Se avessimo costruito queste infrastrutture quando c’era l’accordo generale, ovvero nel 2014, l’Europa adesso non si troverebbe in questa situazione di dipendenza assoluta dalla Russia».

Le carenze infrastrutturali e la strada turca

Fino ad oggi la quasi totalità dei gasdotti del continente è stata progettata e costruita per lavorare da Est a Ovest, quindi per trasportare il gas dalla Russia ai paesi dell’Unione. Nonostante i numerosi tentativi operati già dal 2009, e sostenuti dall’European Network of Transmission System Operators for Gas, l’Europa non è riuscita a dotarsi, se non in misura insufficiente, di pipeline capaci di trasportare il gas in direzione opposta, quindi dai grandi porti atlantici al centro e all’Est del continente.

In prospettiva oggi molti guardano alla Turchia, un paese che aderisce alla Nato e ha le infrastrutture adeguate a diventare un hub del gas, assicurando le importazioni nel Sud Europa. Ad esempio, il prossimo ottobre dovrebbe diventare operativa la pipeline Grecia-Bulgaria alimentata con il gas dell’Azerbaijan, mentre dalla fine del 2023 dovrebbe entrare in funzione nel Nord della Grecia il terminal di Alexandroupolis assicurando un collegamento con la TAP, il maxi-gasdotto in costruzione che raggiungerà anche l’Italia.

Un’Europa indipendente e sostenibile

Alla luce di quanto potrà accadere nei prossimi mesi, e soprattutto nel prossimo inverno, quando i prezzi dell’energia sembrano destinati a salire proprio a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia, i costi per le nuove infrastrutture sono oggi più che mai sostenibili.

Investire nell’ampliamento dei grandi porti così come nella creazione di una rete di gasdotti capillare, efficiente e sostenibile diventano strategie di sviluppo percorribili per assicurare una indipendenza energetica dell’Unione europea.

Tutto questo si inserisce nel piano europeo di arrivare al 2050 diventando un continente a emissioni zero. Un obiettivo ambizioso e difficile da raggiungere, soprattutto alla luce della crisi internazionali, che tuttavia impone una propensione collettiva alla sostenibilità che coinvolga tutti, dai comportamenti dei singoli cittadini fino alle politiche industriali delle grandi aziende.