Il megaprogetto cinese: portare l’acqua dove non c’è

Un sistema di tunnel e canali idraulici trasporta l’acqua per oltre mille chilometri dal Sud al Nord del Paese

È uno dei progetti idrici più ambiziosi della storia: realizzare una serie di canali e tunnel idraulici attraverso i quali trasportare ogni anno 44,8 miliardi di metri cubi di acqua per oltre mille chilometri. Ma soprattutto è la soluzione ideata dalla Cina per risolvere il problema della siccità nelle città del Nord, a partire da Pechino.
A questo serve il South-to-North Water Diversion Project: creare delle vere e proprie autostrade dell’acqua che dai quattro grandi fiumi del Paese (Yangtze, Fiume Giallo, Huaihe e Haihe) partano alla volta delle regioni del Nord. Secondo quanto riportato dal Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese (The State Council, The People’s Republica of China) e da alcuni media internazionali, il progetto sarà completato solo nel 2050 e per realizzarlo ci vorrà un investimento di 48 miliardi di dollari, più del doppio del budget previsto inizialmente e superiore ai 37 miliardi spesi per la famosa diga delle Tre Gole.
Una parte però è già terminata, e rappresenta una soluzione strategica per evitare la siccità che colpisce la capitale Pechino.

Acqua per Pechino

Dal 23 ottobre al 13 marzo scorso a Pechino non è mai piovuto. Il più lungo periodo di siccità nella storia recente della città cinese che avrebbe messo a dura prova l’autonomia idrica della metropoli se non fosse stato per il tunnel. L’acqua che proviene dal lago artificiale di Danjiangkou, nei pressi della città di Junzhou, compie un viaggio che dura due settimane lungo un percorso di 1.432 chilometri (più o meno la stessa distanza che divide Londra e Milano) fino a raggiungere gli impianti di trattamento idrico di Pechino.
Il sistema di tunnel e canali è così vitale per la capitale cinese che attualmente i due terzi dell’acqua di rubinetto e un terzo del totale approvvigionamento idrico proviene dal bacino di Danjiangkou. Ma il caso di Pechino non è l’unico. I quattro quinti dell’acqua presente in Cina si trovano al Sud, dove però vive circa la metà della popolazione. Nelle regioni del Nord, 11 province hanno a disposizione meno di 1.000 metri cubi di acqua per persona all’anno, la quantità riconosciuta come critica a livello internazionale. Mentre altre 8 province ne hanno addirittura la metà. Il problema è anche economico perché la zona più arida comprende quattro delle cinque aree industriali più importanti del paese, dove viene prodotto il 45% del Pil nazionale. E infatti, una volta pienamente operativo, il sistema di tunnel  e canali garantirà un aumento del Pil cinese variabile tra lo 0,1 e lo 0,3%. Un dato che da solo spiega la ragione di un investimento così ingente per realizzare quello che è divenuto la più grande e più costosa infrastruttura idrica al mondo.

Eccellenze e impatto del progetto

Il progetto è così complesso che il governo cinese ha creato una società ad hoc, dedicata esclusivamente al suo sviluppo. L’idea è quella di mettere in collegamento, attraverso un sistema idraulico, i quattro grandi fiumi e da qui creare un raccordo per le acque che permetta di indirizzarle su rotte differenti.
Una di queste, la Eastern Route (inaugurata nel 2013), ha il compito ad esempio di portare l’acqua nella provincia dello Shandong, attingendo principalmente dal Fiume Giallo. Per dare l’idea della vastità dell’opera, questo tunnel che dalla città di Yangzhou porta acqua fino alle montagne Weishan dello Shandong, è lungo 1.155 chilometri e dotato di 23 stazioni di pompaggio necessarie per alimentare il viaggio dell’oro blu.
L’approvvigionamento idrico è significativo, anche se la realizzazione dell’opera ha avuto un costo consistente in termini di impatto sulle regioni che tocca. Oltre 380.000 persone sono state trasferite e con esse numerose attività industriali che, in prossimità dei tunnel, avrebbero rischiato di inquinare le acque.

Un progetto che viene da lontano

Il primo a immaginare un sistema idraulico capace di “travasare” l’acqua in zone diverse del Paese fu Mao Zedong. L’ex-presidente parlò per la prima volta dell’idea nel 1952 motivandola con l’intenzione di portare acqua in città come Pechino e Tianjin e soprattutto nelle province del Nord che ne hanno più bisogno, tra cui Hebei, Henan e Shandong. «Il Sud del nostro paese ha poca acqua. Il Nord ancora meno. Se possibile, il Nord dovrà prenderne un po’ in prestito dal Sud».
Cinquanta anni dopo quell’annuncio, il 23 agosto del 2002, il progetto è stato approvato e un anno dopo i lavori sono iniziati.

La Cina alle prese con il problema dell’acqua

Il South-to-North Water Diversion Project è un’opera maestosa che tuttavia non basta da sola per rispondere all’aumento del consumo idrico cinese. La sola Pechino consuma ogni anno 3,6 miliardi di metri cubi di acqua. La disponibilità idrica della città è pari a 2,1 miliardi, mentre 1,1 miliardi arrivano dal Sud con il tunnel. In sostanza tutto lo sforzo infrastrutturale fatto finora non è neanche sufficiente per rispondere ai bisogni dell’oggi, figuriamoci a quelli del domani. E infatti, le previsioni del governo cinese indicano che entro il 2020 il fabbisogno idrico cittadino raggiungerà i 4 miliardi di metri cubi. Lo stesso discorso vale per tutto il Nord del paese dove – sempre secondo il governo – la domanda di acqua toccherà nel 2050 i 200 miliardi di metri cubi e solo un ottavo di questa quantità sarà coperto dal resto dei tunnel e dei canali tuttora in costruzione.
I numeri parlano chiaro: neanche la più grande infrastruttura idrica del mondo basta per soddisfare la sete delle grandi città del Nord. E la Cina dovrà presto correre ai ripari.