Ricostruire l’Italia iniziando dalle strade

L’Italia ha bisogno di 50 miliardi euro da investire nelle infrastrutture di trasporto

Mancano appena tre anni al sessantesimo anniversario dell’Autostrada del Sole. La prima e più importante tratta, quella che univa le città di Milano e Napoli, fu completata nel 1964 dopo sette anni di lavoro e tre mesi in anticipo rispetto al previsto.

Quasi sessant’anni dopo, quei 755 chilometri di autostrada, divenuti fin da subito il simbolo del boom italiano nel Dopoguerra, sono parte di una delle reti stradali più capillari d’Europa.

Settemila chilometri di autostrade, 20mila chilometri di strade a interesse nazionale e 150mila chilometri di strade a interesse regionale, con oltre mille chilometri di gallerie e 16mila tra ponti e viadotti.

Un patrimonio che va protetto e tutelato in nome di due principi: la sicurezza e l’efficienza. Il crollo del ponte Morandi di Genova dell’agosto del 2018, da cui è nata la corsa alla ricostruzione del Ponte San Giorgio, è ancora oggi un monito per ricordare costantemente l’importanza necessaria della manutenzione di strade e ponti.

E proprio la modernizzazione della rete infrastrutturale italiana è una delle sfide più grandi che il paese sarà chiamato ad affrontare dopo la conclusione della campagna vaccinale e in vista di una ripresa che sia anche economica e sociale.

L’Italia di oggi, alle prese come gli altri stati dell’Unione europea con la stesura del Recovery Plan, guarda proprio alla manutenzione come una delle opportunità per un nuovo sviluppo, che punta da un lato all’ammodernamento delle infrastrutture in chiave sostenibile, e dall’altro alla creazione di posti di lavoro per tutta la filiera produttiva del settore in Italia, in profonda crisi da anni.

Solo in tema di sviluppo del sistema pubblico di trasporto e di riqualificazione delle infrastrutture urbane, il fabbisogno di interventi manutentivi in Italia ha raggiunto i 50 miliardi di euro. Fondi che potrebbero essere in parte raccolti proprio attraverso il Recovery Fund.

Strade: l’architrave dei trasporti italiani

La gran parte degli interventi di manutenzione sono necessari soprattutto per la modernizzazione della rete stradale e ferroviaria. In Italia, ancora oggi, l’80% delle merci e l’80% dei passeggeri viaggiano su gomma e non su ferro.

Attualmente ogni anno vengono spesi tra i 3 e i 4 miliardi di euro di potenziamenti e manutenzioni straordinarie e altri 3-4 miliardi di manutenzioni ordinarie.

Interventi non sufficienti per rispondere al bisogno di rinnovamento, che da un lato guarda alla sicurezza delle infrastrutture e dall’altro alla loro capacità, spesso inadeguata rispetto alle crescenti esigenze di movimento della popolazione.

Tra il 2020 e il 2021 molti dei protagonisti di questo settore hanno annunciato e auspicato un aumento degli investimenti. Lo ha fatto l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori, lo ha fatto Aspi (uno dei principali concessionari privati nella gestione delle autostrade) programmando investimenti per il prossimo triennio pari a 5,4 miliardi di euro, e lo ha fatto Anas, il gestore pubblico delle strade italiane, intenzionato a pubblicare entro il 2022 gare d’appalto per un totale di 28 miliardi di euro.

Guardando nello specifico alla rete autostradale, l’Italia parte con una dotazione molto elevata (22 chilometri di autostrade ogni 1.000 chilometri quadrati), un dato secondo l’Eurostat superiore alla media europea. Anche in questo caso però il problema è quello della manutenzione.

I ponti senza padrone

L’Italia è un paese di montagne e colline e i ponti, per le infrastrutture stradali, sono uno strumento essenziale. Nel paese sono presenti circa 16.000 ponti, la maggior parte dei quali con oltre 50 anni di età.

Per questa ragione, quasi 5mila di questi ponti devono essere ogni anno monitorati per verificare il loro stato di salute e soprattutto se vengono rispettati i criteri di sicurezza. Un’attività anche questa complessa e costosa ma necessaria per tenere in piedi un patrimonio che, in molte sue parti, andrebbe ristrutturato e in certi casi addirittura ricostruito.

Il tema, spesso, è anche quello delle competenze emerso in modo evidente quando nel 2016 il crollo del cavalcavia di Annone provocò la morte di una persona. In quel caso emerse che la struttura non era stata manutenuta perché nessun ente locale sapeva di avere competenze sulla stessa. In Italia ci sono infatti quasi mille ponti il cui controllo è parcellizzato tra province, comuni o consorzi.

Dopo quell’evento, e dimostrata la difficoltà di verifica della titolarità di queste infrastrutture, il ministero dei Trasporti ha chiesto ad Anas di operare un controllo, oltre che sulle strade, anche sui ponti.

Gare frammentate e necessità di programmazione

Ad oggi uno dei problemi principali della mancanza di efficacia delle politiche di manutenzione sulle infrastrutture è legato alla frammentazione delle gare. Il 70% delle gare indette in Italia nel settore ha un valore inferiore ai 10 milioni di euro. Nel 50% dei casi le gare vengono generalmente aggiudicate dopo oltre 12 mesi dalla loro pubblicazione, un processo che ha subito un ulteriore rallentamento nel corso dei primi mesi di diffusione della pandemia.

Nel primo semestre del 2020 molti bandi per le manutenzioni stradali e autostradali non sono stati lanciati, confermando che la vera ripartenza deve ancora iniziare.

Il rilancio delle grandi opere italiane attraverso un piano capillare di manutenzione delle infrastrutture esistenti fa parte dell’impegno del Gruppo Webuild in Italia. Esattamente un anno fa, nell’aprile del 2020, a poche settimane dall’esplosione della pandemia, l’amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini, ha lanciato la proposta di un piano integrato di manutenzione delle infrastrutture italiane. Un’esigenza condivisa da molti per mettere in sicurezza le opere, e creare lavoro per le piccole e medie aziende colpite dalla crisi del Covid.