I fondi Ue sono arrivati, è ora di investire

Intervista esclusiva a Lorenzo Codogno, economista e professore alla London School of Economics di Londra

Lorenzo Codogno è un economista, professore presso la London School of Economics. È stato dirigente generale del Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia italiano, e Presidente del Comitato di Politica Economica dell’Unione Europea. In passato ha ricoperto la carica di managing director per Bank of America.

Lorenzo Codogno

Il rischio di una nuova ondata del Covid-19 riaccende i dubbi sulla ripresa economica. Italiana, europea e mondiale. Eppure, il binario imboccato dai paesi più sviluppati sembra solido così come i loro tassi di crescita.

«La ripresa economica potrà essere intaccata solo se si svilupperà una nuova ondata di ospedalizzazioni e un nuovo riempimento delle terapie intensive, forzando i governi a intervenire con misure restrittive».

L’analisi porta la firma di Lorenzo Codogno, professore della London School of Economics che in passato ha ricoperto incarichi di prestigio nelle istituzioni economiche italiane e dell’Unione europea.

«Il rischio maggiore al momento – spiega il professore in un’intervista esclusiva rilasciata a Webuildvalue – è forse sul lato della fiducia delle famiglie e delle imprese, che si spera non verrà intaccata da rischi reali o percepiti».

 

I paesi dell’Unione aspettano l’arrivo dei fondi del Next Generation EU. Cosa dobbiamo attenderci per i prossimi mesi? Quale sarà secondo lei l’impatto di questa nuova stagione di investimenti sulle economie del continente?

«I primi fondi pari al 13% delle risorse richieste dai paesi sono già arrivati o stanno per arrivare. D’ora in avanti le risorse finanziarie arriveranno semestralmente a ogni fase di avanzamento dei lavori e a condizione che le riforme promesse siano effettivamente attuate. Molte delle risorse verranno spese nei primi 2-3 anni, se non ci saranno ritardi. La forte spinta sugli investimenti e sul PIL si farà sentire già a partire dalla seconda parte di quest’anno, in aggiunta all’effetto delle riaperture di tutte le attività economiche. L’impatto sarà molto significativo e la crescita del PIL nominale in Italia supererà il 6%. Non accadeva dal dopoguerra. Secondo le stime attuali, l’Italia otterrà il 20,8% del totale delle sovvenzioni dell’Unione Europea, contro un peso del suo PIL del 12,8%. Solo i fondi della Recovery and Resilience Facility sono previsti raggiungere i 191,5 miliardi. Una valanga di risorse che dovranno esser spese bene non solo per l’importanza che hanno per l’Italia, ma anche perché il successo del piano in Italia sarà cruciale per il processo europeo d’integrazione».

 

Le nuove politiche espansive europee sfociate nel Next Generation EU saranno in grado di innescare un effetto positivo nel lungo termine oppure rischiano di perdere la loro portata una volta terminata l’iniezione di liquidità?

«Non dobbiamo dimenticare che lo stimolo alla domanda per definizione è transitorio. L’effetto di medio-lungo periodo sarà quello sull’offerta e dipenderà dalla quantità e qualità dello stock di capitale generato dagli investimenti e da come questo potrà contribuire ad accrescere la capacità produttiva. Dipenderà anche dall’effetto delle riforme strutturali, che inevitabilmente richiederà molto più tempo per emergere. Lo stimolo di breve alla domanda è comunque utile, soprattutto in un momento in cui la capacità inutilizzata è molto ampia e la disoccupazione ancora elevata. Inoltre, le crisi passate hanno insegnato che lo stimolo alla domanda può avere effetti anche sull’offerta. E viceversa. Investimenti e riforme possono stimolare l’offerta e a loro volta supportare la domanda».

 

Lei ha guidato la delegazione italiana al Comitato di Politica Economica dell’UE. Ritiene che questa nuova stagione di politiche espansive della UE sia limitata a tamponare l’emergenza della crisi oppure si intravede alle spalle un cambiamento nel paradigma stesso di concepire l’Unione e i suoi modelli di sviluppo?

«È ancora presto per dirlo. Come ho appena detto, l’Italia ha una responsabilità enorme. Se il piano europeo avrà successo in Italia, sarà un passo importante non solo per l’Italia ma anche per l’intera Unione. E questo non potrà esser dimenticato. Sarà un punto di riferimento importante non solo per ogni crisi futura, ma anche per un cambiamento di paradigma nell’Unione. Per il momento è importante consolidare i progressi raggiunti e far sì che le risposte di policy siano efficaci e di successo. Non dobbiamo dimenticare che la risposta a questa crisi ha implicato trasferimenti di denaro all’interno dell’Unione. I contribuenti tedeschi saranno tassati per aiutare l’Italia. Politicamente, questo è un passaggio importante e delicatissimo. L’Italia dovrà evitare che i trasferimenti europei finiscano come i trasferimenti italiani a favore del Mezzogiorno, ovvero che si traducano in sprechi di denaro pubblico senza generare sviluppo economico».

 

I fenomeni climatici degli ultimi giorni, dalla Germania alla Cina, confermano l’urgenza di riscrivere i nostri modelli di sviluppo in chiave sostenibile. Ritiene che questa sia davvero l’occasione giusta? L’Unione europea è abbastanza forte da imporre agli stati membri di puntare sulla sostenibilità nelle loro politiche di rilancio?

«Ritengo che questo processo sia ineludibile e globale. L’Europa è la leader. La transizione verde può rappresentare un volano di sviluppo. Ma dobbiamo anche accettare che gli investimenti per contrastare il cambiamento climatico possano rappresentare una specie di assicurazione per il futuro e in alcuni casi possano non avere dei ritorni immediati. La comunità globale è sempre più consapevole che ci sono dei beni comuni dei quali è necessario farsi carico a livello internazionale. La lotta ai cambiamenti climatici, al terrorismo, alle pandemie, alla pirateria informatica, etc».

 

La maggior parte dei paesi europei ha annunciato l’intenzione di indirizzare una parte consistente dei fondi europei sulle infrastrutture, così come accaduto negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Cina. Quanto sono importanti oggi gli investimenti nelle infrastrutture per rilanciare l’economia?

«Come ho detto prima, sono importanti nella misura in cui aumenteranno lo stock di capitale, che potrà produrre poi crescita in futuro. Se saranno solo stimoli di breve periodo, svaniranno come neve al sole. Per questo è importante soprattutto la qualità della spesa e il suo inserimento in un progetto di sviluppo complessivo del Paese».

 

Guardando all’Italia, il nostro paese sembra intenzionato a investire molto sul potenziamento dell’alta velocità ferroviaria. Molti cantieri sono aperti e altri apriranno nei prossimi anni. Che tipo di apporto potrà dare questo nuovo modello di trasporto sostenibile allo sviluppo del paese?

«L’Italia è per certi aspetti svantaggiata. Il Bel Paese è una penisola lunga e montagnosa. Connettere l’Italia, e poi l’Italia all’Europa è essenziale in un mondo in cui la logistica è diventata un fattore essenziale per lo sviluppo economico».

 

Il governo ha impresso un’accelerazione nell’avvio dei cantieri nominando una lunga lista di commissari per le grandi opere. Quanto è importante snellire le prassi amministrative per velocizzare la realizzazione delle infrastrutture?

«È di cruciale importanza, ma non solo per Next Generation EU. Le procedure dovranno essere snellite per dare all’Italia una possibilità di sviluppo duraturo anche quando i fondi europei saranno esauriti. Sappiamo che la burocrazia, l’inefficienza della macchina amministrativa pubblica, la lentezza della giustizia civile sono ostacoli formidabili per lo sviluppo economico. Sono problemi di cui l’Italia ha già sofferto molto, al punto da divenire il grande malato d’Europa».

 

La questione centrale rimane quella di sbloccare i tanti cantieri fermi e colmare il gap infrastrutturale, concentrato soprattutto al Sud. C’è ancora molto da fare in questa direzione?

«C’è tantissimo da fare. L’importante è che i progetti siano inquadrati in una visione complessiva di sviluppo del paese. Mi sembra che il Programma Nazionale per la Ripresa e la Resilienza sia un apprezzabile punto di partenza. Ora bisogna far sì che non ci siano ritardi, sprechi, o anche peggio. L’importante è anche far sì che le riforme siano effettivamente incisive e si abbinino ai progetti infrastrutturali. Ricordo che il Mezzogiorno d’Italia ha beneficiato per molti anni in passato di una percentuale di investimento pubblico superiore al resto del paese, e questo non è stato in grado di migliorare la qualità delle infrastrutture e agire da volano per lo sviluppo. Si devono trarre molte lezioni in negativo dal passato».

 

Citando la vittoria della Nazionale agli Europei e la vittoria dei Maneskin a Eurovision, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo parlando di rinascita italiana. Possiamo sognare anche una rinascita economica per il nostro paese?

«Sfortunatamente non basta vincere gli Europei di calcio, o altro. Ma quantomeno è un’iniezione di fiducia che non guasta».