Quando nel 1957 l’architetto danese Jørn Utzon vinse il concorso internazionale per il nuovo teatro dell’Opera di Sydney, la Sydney Opera House, in pochi immaginavano che quel profilo di “vele” avrebbe ridefinito per sempre l’immagine dell’Australia.
Il progetto appariva visionario e, per molti, tecnicamente impraticabile: un sogno più che un edificio. Eppure, da quel sogno sarebbe nata una delle icone culturali più riconoscibili del pianeta.
Il teatro di Sydney fu, all’inizio, un terreno di scontro politico e mediatico. Costi lievitati (da 7 a 102 milioni di dollari australiani), tempi dilatati (da 4 a 14 anni), conflitti tra progettista e committente fino all’addio di Utzon nel 1966. I giornali la stroncavano come “follia architettonica”, l’opinione pubblica la dileggiava, i partiti la usavano come clava.
Eppure, il cantiere non si fermò: tra il 1959 e il 1973 vi lavorarono circa 10.000 persone, un numero che oggi viene ricordato dal National Film and Sound Archive of Australia per dare la misura umana – oltre che tecnica – dello sforzo collettivo dietro l’infrastruttura, nominata patrimonio dell’UNESCO nel 2007.
La svolta tecnica che rese costruibili i gusci, ricavando le sezioni da una superficie sferica trasformò l’impossibile in calcestruzzo e acciaio. La costruzione del teatro dell’Opera di Sydney diventò un laboratorio a cielo aperto: nuove tecniche di prefabbricazione, logistiche d’avanguardia, calcoli strutturali pionieristici.
Quando la regina Elisabetta II inaugurò la Sydeny Opera House edificio nel 1973, quello che doveva essere un “fiasco” si rivelò un capolavoro.
Sydney Opera House: patrimonio culturale con un valore sociale da miliardi di dollari
Cinquant’anni dopo, il bilancio positivo salta agli occhi.
Nel 2023, Deloitte ha stimato in 11,4 miliardi di dollari il valore sociale della Sydney Opera House, registrando un incremento del 38% rispetto al decennio precedente. Sempre secondo Deloitte “nello stesso anno fiscale (FY23), il contributo dell’iconico edificio all’economia dello stato è stato quantificato in 1,2 miliardi di dollari”.
Il teatro dell’Opera di Sydney è il luogo culturale più ammirato dell’Australia, con oltre 1.800 spettacoli annuali, che richiamano 1,4 milioni di spettatori.
Guardando indietro, i benefici hanno superato le difficoltà del cantiere. L’infrastruttura nata tra contestazioni e sarcasmo si è rivelata un asset nazionale capace di attrarre investimenti, turisti e talenti creativi, generando un ritorno che travalica i soli ricavi da biglietteria.
Dal teatro dell’Opera di Sydney allo Stavros Niarchos, tra arte e infrastrutture
L’innovazione che ha permesso alla Sydney Opera House di “volare” trova un’eco, per metodo e ambizione, nello Stavros Niarchos Foundation Cultural Center di Atene, progettato da Renzo Piano e realizzato da Webuild nel 2017.
Il complesso culturale della Stavros Niarchos Foundation è sormontato da un’eccezionale copertura fotovoltaica di 10.000 metri quadrati, un “canopy” sottile, sospeso su pilastri, che contribuisce all’autosufficienza energetica del centro. Si tratta di una soluzione allo stesso tempo strutturale e ambientale: un tetto che è anche infrastruttura energetica, integrato con un parco e superfici verdi.
I progetti destinati a ridefinire un territorio, specie se sono al di fuori dell’ordinario, spesso attraversano una fase di scetticismo progettuale iniziale, sollevano dubbi sui tempi, sui costi, ma poi una volta realizzati diventano opere imprescindibili per persone e territori. Questo è successo nel passato e questo continuerà ad accadere nel futuro per le grandi opere più sfidanti in Italia e in tutto il mondo.
Perché quando la progettazione dialoga con l’ingegneria, e l’ingegneria con il paesaggio e le comunità, allora l’infrastruttura non è soltanto “costruita”, ma viene “adottata”: diventa parte integrante della vita delle persone, sentita come propria, amata, vissuta.