Energia marina, la risorsa che arriva dal mare

Nuove tecnologie e investimenti per trasformare il mare in un motore di sviluppo

La frontiera dell’acqua è oltre i confini dei continenti, nelle profondità di quegli oceani difficili da esplorare. Acqua da bere. E acqua per creare energia, con la cosiddetta energia mareomotrice. Una risorsa sconfinata, proprio come lo sono le acque del mare, che può essere messa al servizio dei bisogni delle persone attraverso la tecnologia e l’innovazione.

Secondo lo US Geological Survey, il 70% della superficie terrestre è coperto dalle acque, e per il 97% si tratta di acque marine. Da qui il valore prezioso di tutti quei processi industriali che puntano allo sfruttamento di queste acque in chiave sostenibile. Da un lato per produrre energia pulita e dall’altro per trattare l’acqua salata rendendola potabile.

Cos’è l’energia marina e come funziona

L’oceano è in grado di produrre due tipi di energia: l’energia termica che deriva dal calore del sole e l’energia meccanica, che invece viene dalle maree e dal moto ondoso. È questa l’energia mareomotrice, che sfrutta la grandezza degli oceani che coprono il 70% dell’intera superficie del globo divenendo così potenzialmente il più grande collettore di energia solare e termica che esista.

Tuttavia, come confermano i dati raccolti dall’IRENA (l’International Renewable Energy Agency), gli investimenti nelle energie che derivano dal mare sono ancora molto bassi rispetto al totale delle rinnovabili. L’Agenzia calcola che nel 2019, mentre per impianti eolici sono stati investiti 142,7 miliardi di dollari e altri 141 per lo sviluppo dell’energia solare, all’energia marina sono stati destinati appena 200 milioni di dollari.

Come utilizzare l’energia del mare: il ruolo di Fisia e del Gruppo Webuild

Trasformare il mare in una fonte inesauribile di acqua potabile è ormai un imperativo per rispondere all’aumento consistente di domanda idrica. Secondo i calcoli delle Nazioni Unite il 40% della popolazione mondiale vive oggi in condizioni di scarsità idrica, una percentuale che potrebbe salire fino al 70% entro il 2025 se non si interviene prima con soluzioni industriali che accrescano la disponibilità di acqua potabile. È questo l’obiettivo di Fisia Italimpianti, la società parte del Gruppo Webuild e leader mondiale proprio nella progettazione e nella realizzazione di impianti sostenibili di trattamento delle acque per la dissalazione.

Oggi la produzione di Fisia ha raggiunto i 6 milioni di metri cubi di acqua trattata al giorno, sufficiente per rispondere alle esigenze di 20 milioni di persone, che diventeranno 26 milioni quando gli impianti di trattamento oggi in costruzione saranno terminati.

Il dato è significativo e racconta l’evoluzione di un settore industriale divenuto strategico alla luce della enorme domanda di acqua potabile che arriva da ogni parte del globo.

Nel corso dell’ultima edizione del “World Water Day”, le Nazioni Unite hanno spiegato che 5 miliardi di persone vivono in aree a rischio di carenza idrica e 2,4 miliardi non hanno accesso all’acqua potabile. Un dato che viene aggravato dalle pessime condizioni in cui versano molte infrastrutture, con l’80% degli scarichi idrici mondiali che viene rilasciato nell’ambiente senza i trattamenti adeguati. A questo proposito, oltre all’attività di Fisia, il Gruppo Webuild partecipa a una serie di progetti destinati proprio all’efficientamento delle infrastrutture di gestione delle acque. Progetti che riguardano in particolare i grandi fiumi cittadini, come il Riachuelo di Buenos Aires o ancora i fiumi di Washington D.C., e che prevedono la costruzione di impianti di trattamento delle acque e l’ammodernamento delle reti idriche, evitando così le dispersioni e riducendo l’inquinamento cittadino.

Jebel Ali M , Emirati Arabi

Energia marina e infrastrutture contro le siccità e i cambiamenti climatici

A rendere più difficile la battaglia per l’acqua concorrono sicuramente i cambiamenti climatici. Secondo l’High Level Panel on Water delle Nazioni Unite le siccità provocano ogni anno danni per 5,4 miliardi di dollari, ai quali vanno aggiunti i 31,4 miliardi di danni derivanti dalle inondazioni. Per colmare il gap sulle infrastrutture idriche – calcola l’Ocse – entro il 2030 dovranno essere spesi 6,7 trilioni di dollari, che diventeranno 22,6 trilioni entro il 2050.

In sostanza gli investimenti sono necessari non solo per rispondere alla domanda attuale di acqua, ma anche per alzare un argine rispetto alle crisi future derivanti dal clima impazzito e dalla inadeguatezza delle infrastrutture esistenti.

Dati che confermano una volta ancora il valore strategico dell’acqua del mare e dei fiumi e della sua sconfinata ricchezza idrica. Riuscire a gestire in modo efficiente questa risorsa, trasformandola in energia o trattandola per trarne acqua potabile, è la strada più rapida per avviare un percorso di sviluppo sostenibile.