Le città sono state e sono ancora oggi la prima linea della guerra al Covid-19. Nelle città si è registrato il boom dei contagi e il virus si è propagato con maggiore velocità. E ancora nelle città i sistemi sanitari hanno risposto con maggiore rapidità accogliendo e curando i milioni di malati colpiti dalla pandemia.
Anche dal punto di vista economico, proprio all’interno delle metropoli si sono registrati gli impatti più significativi del virus, a partire dagli effetti dei lockdown, il distanziamento sociale e quindi la chiusura dei distretti commerciali e di tantissime attività economiche.
Il sistema dei trasporti è stato messo in crisi per via dei limiti imposti al suo utilizzo e in generale tutte le infrastrutture pubbliche hanno risentito degli effetti della pandemia.
Oggi però le città stesse sono anche il centro nevralgico della ripartenza, i luoghi dove la ripresa fa sentire di più la sua forza e vitalità, gli hub produttivi intorno ai quali si sta scrivendo il futuro. Il mondo delle costruzioni è parte di questo nuovo corso e le stesse città sono oggi al centro di ambiziosi progetti infrastrutturali che riguardano tutti i campi, dall’edilizia alla mobilità sostenibile.
Settore costruzioni: in Europa le città più costose per il settore delle costruzioni
Se le città sono il centro del rilancio mondiale, l’Europa rappresenta sicuramente uno dei motori di questa ripartenza. Sono infatti cinque metropoli europee a guidare la classifica delle 100 città più costose al mondo per il settore delle costruzioni.
L’edizione 2021 dell’International Construction Cost Index (IIC), l’indice annuale pubblicato da Arcadis, società leader nella consulenza del settore, riserva i primi cinque posti di questa classifica a Ginevra, Londra, Copenhagen, Oslo e Zurigo. Seguono poi New York City, San Francisco, Hong Kong, Dublino, Macao e Tokyo.
La ragione di questo risultato dipende in parte dall’apprezzamento dell’euro sul dollaro, registrato negli ultimi mesi, in parte dall’aumento del costo delle materie prime, ma anche dalla vitalità infrastrutturale di alcune grandi città europee, Londra e Copenhagen su tutte, che negli ultimi anni sono state un cantiere aperto e hanno mantenuto altissimi standard di qualità nelle opere realizzate. L’indagine di Arcadis fotografa anche la vitalità delle metropoli del Vecchio Continente che hanno inserito nelle loro ricette per il futuro anche il rinnovamento delle infrastrutture strategiche.
Autostrade cittadine, linee metropolitane, impianti di gestione delle acque reflue, grandi progetti immobiliari: l’Europa può diventare un nuovo laboratorio di progetti ambiziosi, come ad esempio la grandiosa rete metropolitana Grand Paris Express, la grandiosa rete metropolitana in costruzione a Parigi per rilanciare il continente in chiave sostenibile.
Il futuro verde dell’Europa
L’Unione europea è una delle aree geografiche economicamente più colpite dagli effetti della pandemia. Secondo l’analisi di Arcadis, nel 2020 il Pil medio dei paesi membri si è contratto del 6,3%, un passo indietro che però potrà essere colmato grazie agli 808 miliardi di euro del Recovery Fund approvati dalla Commissione europea, che permetteranno – già nel 2021 – di mettere a segno una crescita media del Pil del 3,7%.
Centrale in questo rilancio saranno proprio le politiche green. L’Unione ha previsto che il 37% dei fondi stanziati dovrà essere destinato al compimento di una transizione verde. Inoltre, nell’ambito delle costruzioni, dal gennaio di quest’anno tutti i nuovi edifici costruiti dovranno rispettare le regolamentazioni previste dal Near-Zero Energy Buildings, i criteri previsti dall’Europa per ridurre al massimo le emissioni atmosferiche.
Dopo un calo medio del settore delle costruzioni dell’8% registrato nel 2020 per via del Covid, l’Europa si attende adesso una ripresa consistente che inizierà nell’anno in corso e si consoliderà nel corso del 2022. Le infrastrutture, anche quelle legate alla mobilità sostenibile, diventeranno così uno dei motori della rinascita del continente. Sempre in chiave green.
Il Regno Unito segue l’Europa
Il Regno Unito è stato colpito più duramente dal Covid-19 rispetto al resto del continente. L’economia britannica ha registrato nel 2020 una contrazione del Pil pari al 10%, il dato peggiore tra i paesi del G7. Questo per via delle caratteristiche di un’economia votata ai servizi e all’ospitalità. Il governo si attende comunque un rimbalzo significativo già nel 2021 nell’ordine di un +7,3%, che sarà assicurato – come avviene negli altri paesi europei – proprio dai piani di investimento assicurati dallo stato.
Solo nel settore delle infrastrutture il governo britannico ha annunciato l’intenzione di investire 100 miliardi di sterline nei prossimi dieci anni, la cura giusta per riprendersi dalla crisi delle costruzioni registrata nei mesi del Covid. Nel 2020 il settore ha perso il 13% del suo fatturato, e – secondo le previsioni di Arcadis – tornerà a livelli pre-Covid solo nel 2022. Molto dipenderà dalla capacità di Londra di ripartire, avviando i nuovi progetti infrastrutturali previsti dal “Build Back Better”, il piano di investimenti lanciato dal governo che ha proprio nella capitale inglese il suo centro di gravità.