Gli Usa ritrovino lo spirito dei padri fondatori

Standard & Poor’s rilancia il bisogno di nuovi investimenti in infrastrutture per far ripartire l’economia dopo il covid-19

Tra le strade di Dayton lo scenario di una crisi prolungata ha preso le sembianze di una cappa grigia che soffoca la città. Nel capoluogo della contea di Montgomery, nello stato dell’Ohio, famosa nel mondo per aver ospitato nel 1995 gli accordi di pace che hanno messo fine al conflitto nella ex-Jugoslavia, gli effetti della crisi del Coronavirus si fanno sentire più che altrove.

Dayton, una delle città più colpite dalla crisi del 2008, è arrivata a questo appuntamento con la storia in grandi difficoltà, con un tasso di povertà che ha toccato il 34,5% della popolazione, un reddito medio più basso della media americana e una forza lavoro che – tra il 2007 e il 2017 – ha perso il 16% in numero, passando da 70.255 a 59.114 occupati.

La situazione di Dayton, città appesa al fallimento delle sue industrie storiche, rischia di diventare quella di molte altre città degli Stati Uniti, afferrate alla gola dalla crisi esplosa per via del Covid-19, e oggi alla disperata ricerca di una via d’uscita che eviti la recessione.

Nei giorni scorsi Standard & Poor’s ha reso pubbliche le sue previsioni sull’impatto di questa crisi arrivando a una doppia conclusione: i danni economici causati da questa crisi potrebbero essere tre volte quelli della Grande Recessione del 2009; il paese può uscire da questa crisi solo inaugurando una stagione di investimenti, e in particolare di investimenti sulle infrastrutture.

S&P: investimenti in infrastrutture per produrre ricchezza

Le file di fronte alle mense dei poveri immortalate nei servizi televisivi così come i numeri eccezionali delle richieste di sussidio presentate nelle scorse settimane, sono forse le immagini più efficaci per spiegare il rischio che corre l’economia americana. Standard & Poor’s prevede che l’attività economica negli Usa perderà nel 2020 l’11,8% del suo valore, pari a 566 miliardi di dollari. I posti di lavoro persi saranno oltre 30 milioni, l’equivalente di quelli creati negli ultimi 23 anni di storia americana.

Intanto negli ultimi dieci anni, dalla crisi del 2008 ad oggi, la crescita del Pil si è attestata in media ad un +2,25%, un terzo del tasso che gli Usa registravano nel 1959 quando venivano avviati i lavori dell’Eisenhower Interstate Highway System, l’enorme rete di autostrade americane che ancora oggi è un’infrastruttura strategica per la mobilità fuori e dentro gli stati.

Secondo lo studio di Standard & Poor’s dal titolo “Infrastructure: What Once Was Lost Can Now Be Found – The Productivity Boost”, la Grande Recessione del 2009 è stata un’occasione persa in termini di risposta politica, proprio per il mancato coraggio di inaugurare una politica di investimenti infrastrutturali. Adesso le condizioni sembrano mutate e la società di rating calcola che, se gli Usa investissero 2,1 trilioni di dollari nel settore nei prossimi dieci anni (più o meno quanto l’ammontare proposto dal presidente Donald Trump) la ricchezza prodotta nell’economia raggiungerebbe i 5,7 trilioni di dollari, creando 2,3 milioni di posti di lavoro solo entro il 2024.

«Il Covid-19 – scrive nel report Beth Ann Bovino, Chief US Economist di S&P Global – ha creato un’urgenza a investire nelle infrastrutture pubbliche di tipo sanitario. A sei mesi da oggi potremmo guardare indietro alla pandemia come fosse l’uragano Sandy o qualsiasi altro evento eccezionale, che abbia sollevato l’attenzione generale sul bisogno di investire nelle infrastrutture per prevenire i danni dei cambiamenti climatici. In ogni caso, tutto riporta agli investimenti nelle infrastrutture, che dobbiamo affrontare ora».

Treno sopraelevato, Chicago, Illinois

Investire nella più grande risorsa del paese: le infrastrutture

Guardando indietro alla storia americana, gli Stati Uniti hanno raggiunto la loro maturazione sociale ed conomica proprio cavalcando lo sviluppo infrastrutturale. La corsa all’oro verso Ovest che ha alimentato il bisogno di costruire una ferrovia transcontinentale, i grandi progetti di opere pubbliche finanziate dal New Deal del presidente Roosevelt, così come la rete infrastrutturale nata alla fine degli anni Cinquanta e divenuta un simbolo anche culturale dell’american way of life, sono ancora oggi considerati i pilastri di questa nazione, la prova fisica e visibile di una ricerca costante di progresso. Questa propensione si è allentata negli ultimi anni, avviando così un drammatico processo di invecchiamento della rete infrastrutturale più grande e capillare al mondo.

La crisi del Coronavirus impone però che questa tendenza venga invertita. E subito.

Secondo l’analisi di S&P Global Economics il ritorno alla spesa pubblica sulle infrastrutture potrebbe riportare il Pil americano ai livelli raggiunti alla metà del Ventesimo secolo. Così spiega il rapporto: «Consideriamo gli investimenti infrastrutturali una delle strade per riportare in carreggiata l’economia americana, una volta che il Covid-19 sarà uscito di scena, ma anche in caso di un suo prossimo attacco».

E infatti, guardando ai numeri, lo sviluppo di nuove infrastrutture e la manutenzione di quelle esistenti avrebbe un impatto significativo anche sul Pil che dal 2021 e per i dieci anni successivi, invece della crescita attualmente prevista all’1,7%, potrebbe balzare ad un +2,2%.

Il tema centrale rimane quello della produttività, e quindi della capacità degli investimenti infrastrutturali di restituire alla società più di quanto viene speso nella costruzione delle grandi opere. L’esempio di questo è proprio la rete autostradale voluta dal presidente Eisenhower. La sua costruzione è costata (ai valori attuali del dollaro) 500 miliardi di dollari e il report di S&P stima che per ogni dollaro speso nell’opera nel sistema economico Usa ne siano finiti ben 6.

Tornare all’esempio di Eisenhower

«Non è troppo tardi per essere come Ike». È questo il messaggio che arriva dall’analisi di Standard & Poor’s secondo la quale gli Usa sono ancora in tempo per uscire dalla crisi sfruttando la leva delle infrastrutture.

Attualmente gli Usa destinano appena l’1,3% del Pil sulle infrastrutture. Se solo questa spesa raggiungesse l’1,7% del Pil la crescita dell’economia Usa tornerebbe ai livelli pre-crisi in un anno, invece che nell’anno e mezzo oggi previsto dalle analisi governative.

Non solo: i redditi personali crescerebbero in media entro il 2029 di 2.400 dollari ciascuno, e alla capacità di spesa dei singoli cittadini nei prossimi dieci anni si aggiungerebbero altri 3,5 trilioni di dollari.

Dalle periferie di Dayton fino a New York City, una delle città più colpite dal Covid-19, milioni di cittadini attendono l’inizio di una nuova stagione di grandi opere, l’occasione per riattivare un moto collettivo di lavoro e crescita ispirato dalle storie e dai ricordi di quei grandi progetti che hanno fatto l’America. Un grande sforzo nazionale per risollevarsi dalla crisi e, nel peggiore dei casi, farsi trovare pronti per il prossimo uragano.