Shanghai e Singapore, Dubai e Los Angeles, Busan e Amburgo: il cuore del commercio marittimo mondiale è rappresentato dai grandi porti, infrastrutture colossali ed eccellenze logistiche capaci di rispondere alla corsa al gigantismo dell’industria navale e alla crescente domanda del commercio mondiale.
Il loro sviluppo impone investimenti colossali, decine se non centinaia di miliardi di dollari stanziati in giro per il mondo e finalizzati alla modernizzazione delle strutture, sempre più grandi e soprattutto sempre più rapide ed efficienti nello smistamento delle merci.
A parte Singapore (secondo nella classifica mondiale dei porti) la Cina monopolizza le prime cinque posizioni, partendo da Shanghai, lo scalo che ospita il maggior traffico mondiale. Il 30% dei 120 porti più importanti è diviso tra Stati Uniti e Cina, seguiti dall’Europa dove la prima posizione – come indicato dalla rivista internazionale “Container Management” – è occupata da Rotterdam, in Olanda, che si ferma all’undicesimo posto.
Lo sviluppo e la crescita dei porti va di pari passo con l’intensificazione del commercio via mare, l’aumento delle rotte internazionali e, insieme ad esso, lo sviluppo dell’economia globale.
Panama e la corsa delle grandi navi
In una rincorsa continua tra chi ospita e chi viene ospitato, l’industria navale corre più veloce e costringe quella dei porti a un rapido sviluppo.
L’ultimo record è stato battuto dalle navi cargo “Triple E” (economy, energy efficent, enviromentally improved). Questi colossi del mare sono in grado di trasportare fino a 18mila container, così tanti che se fossero caricati su un treno occuperebbero una lunghezza di 110 chilometri. Navi troppo grandi per essere accolte in tutti i porti. Ad oggi, infatti, le “Triple E” passano solo per il Canale di Suez e collegano soprattutto la Cina con l’Europa. A livello di porti, nel Vecchio Continente quello più organizzato per accoglierle è lo scalo di Southampton in Inghilterra, mentre anche Antwerp in Belgio ha programmato negli ultimi anni investimenti ingenti per adeguarsi.
Ma a parte questi colossi dei mari, il commercio marittimo sta mutando profondamente anche in Nord e Sud America. L’ampliamento del Canale di Panama (realizzato da un consorzio internazionale di cui è parte Salini Impregilo) rappresenta un grande facilitatore di sviluppo perché da questa estate nel Canale potranno passare le navi Post-Panamax, che di container ne possono portare fino a 14mila. Attualmente, nei cantieri di mezzo mondo, sono in costruzione 450 navi di queste dimensioni e i porti delle Americhe si stanno organizzando per questo grande cambiamento. Miami, New York e Nortfolk negli Stati Uniti hanno già avviato importanti programmi di sviluppo, mentre in Centro America e nei Caraibi gli scali che stanno “prendendo le misure” delle nuove navi sono Mariel (Cuba), Kingston in Jamaica, e ovviamente i due porti commerciali di Panama (Colon e Balboa), ognuno dei quali ospita in media 3 milioni di container all’anno.
La battaglia della leadership tra Singapore e Cina
Negli ultimi anni la palma del primo porto commerciale al mondo è stata contesa tra il porto di Singapore e quello di Shanghai. Tanto la Cina quanto la città-Stato considerano il commercio marittimo una chiave strategica nelle politiche di sviluppo internazionale e per questo hanno pianificato investimenti colossali per aumentare la capacità e l’efficienza dei loro scali.
Dal 2010, la leadership mondiale appartiene a Shanghai. Le ultime statistiche annuali, che risalgono al consuntivo 2014, parlano infatti di un traffico pari a 35,2 milioni di Teu (Twenty Foot Equivalent Unit), con una crescita del 4% rispetto al 2013. Una crescita che tiene in conto anche le esigenze di uno sviluppo sostenibile e l’adozione di tecnologie “green” per ridurre l’impatto sull’ambiente.
Nel 2014, l’Autorità portuale di Shanghai ha firmato un accordo con quella di Los Angeles che apre ad una “ecopartnership” dentro la quale è previsto uno scambio di informazioni, conoscenze tecniche e buone pratiche proprio sul tema della sostenibilità dei porti. Los Angeles è considerato uno dei porti statunitensi più sensibili al tema dell’impatto ambientale, oltre ad essere il primo scalo marittimo del Nord America, con 830mila posti di lavoro prodotti.
La crescita esponenziale di Shanghai, e la sua attenzione verso “le buone pratiche”, ha riacceso la competizione con Singapore, che occupa il secondo posto nella classifica mondiale e, nel 2014, ha movimentato 33,8 milioni di Teu. Da qui l’annuncio del premier della città stato, Lee Hsien Loong, di investire altri 8 miliardi di dollari per spingere ancora in avanti lo sviluppo dello scalo. Secondo gli obiettivi del governo, la prima fase di ampliamento dovrebbe concludersi entro il 2022 permettendo al porto di ospitare ben 65 milioni di container ogni anno. Ma la battaglia è aperta perché sicuramente Shanghai non resterà a guardare.
La partita del Medio Oriente
Vicino al Canale di Suez e situata in una posizione strategica sulle rotte che collegano l’Asia all’Europa, tutta la Penisola Arabica sta investendo molto nello sviluppo delle attività portuali. I grandi porti sono ormai entrati con pieno diritto nella grandiosa strategia di sviluppo, avviata con la costruzione delle moderne città, tanto in Arabia Saudita, quanto negli Emirati Arabi.
In particolare l’Arabia Saudita ha investito nei porti, nel corso degli ultimi anni, 30 miliardi di dollari, ai quali – entro il 2020 – se ne aggiungeranno altri 100 da destinare a tutta la filiera dei trasporti e della logistica collegata al commercio marittimo. Fiore all’occhiello del Paese è sicuramente il Jeddah Islamic Port, lo scalo principale per gli scambi commerciali al centro di un piano di espansione che aumenterà la capacità del traffico del 45%. L’obiettivo saudita è intercettare il giro d’affari legato alle 25.000 navi mercantili che ogni anno navigano da Sud a Nord nel Mar Rosso fino al Canale di Suez, un business enorme e destinato a crescere nel tempo. Nello scacchiere della Penisola, Dubai non vuole essere da meno. La Dp World è il colosso controllato dall’Emirato proprietario di 65 terminal marittimi in cinque continenti, compresi India, Africa, Europa e – naturalmente – Medio Oriente.
Con un fatturato che supera i 3 miliardi di dollari e oltre 30mila dipendenti, nel gennaio di quest’anno il Gruppo ha stretto una partnership con il fondo russo Direct Investment per lo sviluppo di porti e infrastrutture in Russia. La società Dp World Russia (nata dall’accordo tra i due soggetti) è pronta a investire oltre 2 miliardi di dollari.
La risposta africana
Anche il continente africano, nonostante le difficoltà economiche e l’instabilità politica di molti governi, sta vivendo un periodo di grande fermento industriale in ambito portuale.
Tra i progetti più significativi tuttora in corso c’è lo sviluppo del porto di Lamu, in Kenya, dove è previsto un investimento di oltre 4 miliardi di dollari; quello di Bagamoyo in Tanzania (poco più a Nord di Dar es Salaam), dove il costo previsto arriva addirittura a 10 miliardi di dollari; e infine il caso del Gibuti.
Abubaker Omar Hai, Presidente dell’Autorità dei Porti e della Free Zone di Gibuti, ha annunciato nei mesi scorsi un piano di sviluppo che prevede investimenti per 9 miliardi di dollari da spendere nell’arco di tre anni. Il Gibuti intende sfruttare la sua posizione, al centro di una delle rotte più trafficate al mondo che collega l’Africa orientale con l’Asia e viene percorsa ogni giorno da 90 navi. Con l’aiuto di questa posizione strategica il Paese è pronto a costruire sei nuovi porti di cui quattro (Tadjoura, Ghoubbet, Doraleh e Damerjog) già in costruzione. Una volta terminato, il piano metterà a disposizione del commercio globale una nuova piattaforma logistica, decisa a lanciare la sua sfida ai grandi terminali dell’oceano Atlantico.
Anche nel Nord Africa, nei Paesi bagnati dal Mediterraneo, i porti hanno tradizionalmente rappresentato un importante volano di sviluppo e di collegamento all’Europa. Significativo, a questo proposito, è il caso del porto di Homs, in Libia, costruito tra il 1980 e il 1984 da Salini Impregilo. Lo scalo marittimo è presto diventato uno snodo centrale per gli scambi delle merci con gli altri Paesi del Mediterraneo ed è cresciuto negli anni divenendo uno degli approdi libici più frequentati.
Ma il suo futuro, così come quello di numerosi altri scali marittimi libici e degli altri Paesi nord-africani, è minacciato oggi dalla grave instabilità politica che coinvolge l’intera regione. Solo una difficile stabilizzazione degli equilibri geopolitici che coinvolga tutti i Paesi del Nord-Africa permetterà a questi scali di riprendere a pieno la loro attività.