C’è un angolo d’Africa difficile da trovare perfino sulle mappe geografiche. Si chiama Benishangul-Gumuz ed è una remota regione dell’Etiopia occidentale, a più di 700 chilometri da Addis Abeba. Arrivarci significa affrontare un viaggio lungo giorni, tra strade sterrate che si interrompono nella stagione delle piogge e villaggi isolati, circondati da foreste, savana e gole profonde.
Oggi per raggiungere la Grand Ethiopian Renaissance Dam si vola da Addis Abeba fino a una pista di atterraggio costruita da Webuild, una landing strip lunga poco più di un chilometro. Una volta arrivati, l’aereo da trasporto leggero lascia i passeggeri in un luogo che sembra sospeso tra passato e futuro, dove il tempo ha ancora il ritmo delle stagioni e del Nilo Azzurro che scorre poco distante.
Ma lo sguardo si posa subito sulle grandi infrastrutture moderne, sui cantieri e sui campi abitativi che hanno trasformato il volto della regione.
Grand Ethiopian Renaissance Dam: la maxi infrastruttura in una città nel nulla
Quando nel 2011 i primi ingegneri e operai sono arrivati, non c’era nulla in questa vasta regione dell’Etiopia: nessuna strada asfaltata, nessuna infrastruttura, soltanto un territorio aspro e incontaminato. Oggi, attorno alla Grand Ethiopian Renaissance Dam si estende una città vera e propria.
Per costruire il progetto è stato infatti necessario realizzare prima di tutto strutture in grado di ospitare fino a 10.000 persone in contemporanea: tre campi abitativi, mense per servire migliaia di pasti al giorno, scuole per i figli dei lavoratori, cliniche, un ospedale e spazi ricreativi.
Il cantiere si è così trasformato in un microcosmo. Al suo interno si trovano anche un club, una piscina, campi da calcetto e da tennis. Una rete di strade collega oggi tutti gli angoli del cantiere, che è diventato una vera e propria città in cui, nonostante turni di lavoro che coprivano le 24 ore giornaliere, sono stati garantiti anche spazi di vita quotidiana, indispensabili per sostenere uno sforzo collettivo durato più di un decennio.
Dall’acqua all’educazione, fino alla tutela della salute
La risorsa più importante, in un territorio simile, era l’acqua. Ecco perché uno dei primi interventi è stata la costruzione di un sistema di gestione e trattamento acque del Nilo che fosse a disposizione del cantiere. Sono state quindi realizzate due grandi vasche di raccolta e un impianto di trattamento capace di fornire acqua sia agli impianti di cantiere, sia alle abitazioni dei lavoratori.
Mentre l’acqua del Nilo Azzurro veniva così filtrata e trattata, un’attenzione particolare è stata posta anche ad altri servizi essenziali, come quello dell’istruzione. Nel cuore del campo è stata organizzata una scuola con insegnanti dedicati, così che i bambini delle famiglie presenti potessero continuare a studiare anche vivendo in un luogo tanto isolato. In questo modo, il cantiere è diventato non solo un luogo di lavoro, ma uno spazio di vita familiare.
Allo stesso modo, massima attenzione è stata posta alla cura delle persone. In un’area così remota e selvaggia, senza centri urbani vicini con ospedali e cliniche, garantire la salute di migliaia di persone era infatti una priorità per servizi da mettere a disposizione anche delle comunità locali. Per questo Webuild ha costruito un ospedale centrale con 20 posti letto, due cliniche satelliti, uno staff di 71 persone e una rete sanitaria attiva 24 ore su 24. Presidi che non sono stati riservati all’uso esclusivo dei lavoratori, ma aperti anche alle comunità locali, che qui hanno trovato cure gratuite, prevenzione e assistenza medica.
Le attività non si sono quindi limitate alle emergenze, ma i centri hanno condotto campagne vaccinali, screening per HIV e tubercolosi, medicina preventiva, educazione sanitaria. Migliaia di consulti e di prestazioni sono stati erogati negli anni e, alla fine del progetto, tutte le strutture mediche sono state trasferite al Ministero della Salute etiope, diventando un’eredità stabile e preziosa per il territorio.
Oltre le infrastrutture: il profumo dell’injera
C’è un odore che accompagna ogni giornata a Grand Ethiopian Renaissance Dam: quello dell’injera, il piatto nazionale etiope che si presenta come una grande crespella dal colore grigio chiaro, fatta con la farina di teff, un cereale antico che cresce negli altipiani del Paese.
La difficoltà di reperirne una quantità sufficiente e di qualità ha spinto Webuild a costruire una vera e propria fabbrica, operativa dal 2021. Ogni giorno 84 lavoratori etiopi producono in media 6.500 injera, arrivando a 3 milioni l’anno. Una produzione industriale ma fedele alla tradizione, guidata da un capo cuoco depositario della ricetta originale, controllata da un supervisore che ne garantisce la qualità.
In un luogo dove tutto doveva essere costruito da zero, persino il cibo è diventato parte del progetto sociale: dare continuità ai costumi e ai sapori della vita quotidiana.
L’eredità di GERD nella regione dell’Etiopia più remota
Attraversando in pickup le strade di GERD si passa accanto a mercati, scuole, dormitori, uffici. Poi lo sguardo si alza e appare la diga principale: una muraglia di calcestruzzo che domina la vallata, simile a un’astronave atterrata in mezzo alla natura. Dietro, il bacino artificiale si estende per 172 chilometri, un mare interno nato dove prima c’erano solo colline e savana.
Oltre la diga, i tralicci dell’alta tensione si ergono come torri e si perdono verso est, portando l’energia idroelettrica fino ad Addis Abeba e oltre i confini nazionali. Ai margini del cantiere, i due ponti costruiti per unire le sponde del fiume permettono ai mezzi di spostarsi.
L’impressione è quella di trovarsi in una frontiera del mondo, dove la natura selvaggia incontra la più avanzata ingegneria umana. Tutto questo non è solo un’infrastruttura imponente, ma una città con la sua vita, i suoi servizi, le sue storie. La Grand Ethiopian Renaissance Dam ha cambiato il presente energetico dell’Etiopia e allo stesso tempo anche la vita delle persone che vivono lungo le rive del Nilo Azzurro, dimostrazione che una grande opera può essere anche un laboratorio sociale, capace di dare forma a un futuro collettivo.