Gli uomini e le donne che hanno costruito i ponti di New York City

Non solo il Ponte di Brooklyn: storia, leggenda e impresa dei duemila ponti che collegano New York City

«Dietro ogni grande opera possiamo trovare il devoto altruismo di una donna». La targa posta nel 1951 su una spalla del ponte di Brooklyn in memoria di Emily Warren Roebling non è il punto commemorativo più noto e fotografato dai turisti o dagli stessi newyorchesi. Ma descrive appieno il pionierismo americano, la capacità di inseguire progetti impossibili, il coraggio di una donna grazie alla quale è stato possibile costruire proprio il ponte di Brooklyn, aperto al pubblico il 24 maggio 1883 e da allora simbolo delle infrastrutture che hanno reso grande l’America.

New York, con i suoi oltre duemila ponti, decine dei quali iconici come il più famoso Brooklyn Bridge, è un museo a cielo aperto di costruzioni avveniristiche per l’epoca in cui sono state progettate ed erette e ancora oggi modelli architettonici per opere future. In un ponte, in più, c’è sempre qualcosa di magico. È un’opera dell’ingegno, nasce dalla matita di un visionario e si realizza con la passione dei costruttori. È una struttura capace di superare ostacoli, unire le sponde di un fiume, superare barriere geologiche, ampliare gli orizzonti di milioni di persone, migliorarne la mobilità.

Il ponte di Brooklyn, un’impresa di famiglia

Negli inverni più rigidi dell’Ottocento capitava spesso che l’East River si ghiacciasse, rendendo impossibile l’attraversamento in traghetto dall’isola di Manhattan all’area di Brooklyn e lasciando bloccato sulle due rive il crescente flusso di pendolari. Nel 1852 su uno di quei traghetti bloccati dal ghiaccio si trova anche l’ingegnere John Augustus Roebling, con suo figlio minorenne Washington. Roebling, che aveva costruito altre strutture sospese nel Nord America, decide di presentare all’amministrazione cittadina, il suo progetto di ponte sospeso con cavi d’acciaio, un’opera imponente, mai pensata prima.

Quindici anni dopo arrivano finalmente l’approvazione e i fondi per realizzare il progetto, che si mette subito in moto. Ma, nel luglio 1869, Roebling si ammala di tetano dopo un incidente. Muore senza poter veder iniziare la costruzione del ponte. Washington, ormai adulto e ingegnere anche lui, si sostituisce al padre nella responsabilità del progetto, che nella prima fase prevede difficili scavi per arrivare al fondo roccioso che dovrà sostenere le due torri giganti in pietra calcarea, granito e cemento. Con i loro 85 metri, saranno di gran lunga più alte di tutte le altre costruzioni della città.

I lavori iniziano subito dopo il Capodanno 1870, con la posa di immensi cassoni posizionati a una profondità di una dozzina di metri sul versante di Brooklyn e a oltre venti su quello opposto, nei quali pompare aria per estrarre l’acqua del fiume e scavarne il fondo. Al loro interno, gli operai lavorano in condizioni drammatiche. Quando risalgono in superficie, alcuni di loro restano paralizzati per la decompressione estrema, una sindrome subito rinominata “malattia dei cassoni”. Anche Washington Roebling resta paralizzato. Il progetto perde il suo capo ingegnere, il sogno dei Roebling sembra sfumare. I lavori si fermano.

Ed è qui che entra in campo, Emily Warren, moglie di Washington, studi in storia e matematica e una passione innata per le costruzioni. Rassicura il marito e poi fornitori e funzionari: «Il ponte si farà!». Emily assume la responsabilità del progetto, i giornali dell’epoca la battezzano la “sposa caparbia” o la prima donna capo-cantiere. Lei prende lezioni di ingegneria civile mentre supervisiona i materiali, analizza la tensione di cavi d’acciaio, gestisce fornitori, tecnici e operai. Washington segue i lavori dalla residenza di Brooklyn Heights osservando il cantiere con un telescopio.

Dopo oltre dieci anni di lavori, il 24 maggio 1883 il ponte di Brooklyn viene aperto al pubblico. Emily Warren Roebling è la prima ad attraversarlo tenendo in grembo un gallo in segno di vittoria.  Ma i newyorkesi non si fidano della tenuta di quel ponte del tutto straordinario. La perplessità, però, durerà solo un anno, grazie alla trovata pubblicitaria del maestro circense Phineas Barnum che fa transitare sul ponte ben 21 elefanti, 17 fra cammelli e dromedari e altri animali esotici. Lo storico congiungimento delle due sponde dell’East River è raggiunto; Manhattan e Brooklyn iniziano il loro percorso come metropoli che unirà anche gli altri tre distretti, State Island, Bronx e Queens, con la costruzione di un ponte dopo l’altro.

Verrazzano-Narrow Bridge, il ponte della maratona

Ogni distretto ha le sue icone e le espone con orgoglio. Tra viadotti, ponti strallati, a sbalzo, sospesi a campata unica, ad arco, con tiranti in acciaio, con magnifiche strutture sovrastanti, si respira quasi un’aria di competizione nell’attraversarli. Il più alto, il più lungo, il più largo, E, ancora: il più visitato, fotografato, preso in prestito da Hollywood per la scena più romantica, quella più drammatica, l’azione più spericolata. Come a dire che c’è sempre un ponte dietro una storia di successo.

Il Verrazzano-Narrow Bridge, da dove parte la famosa Maratona di New York, collega Brooklyn con Staten Island e quando è stato inaugurato nel 1964 ha conquistato il titolo di ponte sospeso più lungo del mondo. Oggi è stato superato da una decina di altre strutture ma è ancora il più lungo degli Stati Uniti, con la sua campata unica di 1.298 metri. Deve il suo nome al navigatore fiorentino Giovanni da Verrazzano, il primo europeo a esplorare la costa atlantica dell’odierna Florida, fino a scoprire la baia di New York nel 1524.

È il ponte con cui la metropoli americana si affaccia sull’oceano, ed è l’unica porta d’ingresso per le grandi navi. Ognuna delle sue due torri, alte 211 metri, conta un milione di bulloni e tre milioni di rivetti. Costruite per essere perpendicolari alla terra, hanno uno sbalzo tra la base e la cima per assecondare la curvatura terrestre. A causa dell’espansione termica dei cavi in acciaio, la strada che le automobili percorrono sul ponte è 3.66 metri più bassa in estate rispetto all’inverno.

Othmar Amman, il progettista dei ponti di New York City

Il progettista Othmar Amman, che ha firmato il Verrazzano insieme a Robert Moses, ha realizzato altri sei ponti di New York, tra i quali il George Washington Bridge, aperto nel 1931 insieme al Bayonne Bridge, il Triborough Bridge (1936), il Whitestone Bronx (1939), il Walt Whitman (1957) e il Throgs Neck (1961).  Il George Washington non collega due distretti della città, bensì due stati. Sovrasta, infatti, l’Hudson, fiume ovest di Manhattan, e unisce New York con lo stato di New Jersey con carreggiate su due livelli.

Protagonista di film famosi, tra cui “Il Padrino”, il George Washington è stato commissionato dalla Port Authority of New York, che oggi si divide con il dipartimento dei trasporti della città (NYDOT) e la Metropolitan Transportation Authority (MTA) la gestione dei ponti newyorchesi.  Amman, diventato ingegnere capo della Port Authority, progetta una campata lunga 1.087 metri e una coppia di torri in acciaio alte 184 metri, con travi orizzontali in lamiera d’acciaio. L’ancoraggio in cemento da 260.000 tonnellate sul lato di New York e le perforazioni direttamente nella roccia nel versante del New Jersey, si uniscono al supporto principale per la carreggiata che viene da quattro cavi d’acciaio del diametro di un metro. Ciascuno dei quali è costituito da singoli trefoli di acciaio tesi attraverso il fiume 61 volte, ogni volta incorporati nell’ancoraggio prima di tornare indietro. La lunghezza totale dei trefoli d’acciaio (un fascio di 434 singoli cavi) è di 107.000 miglia e da essi pendono bretelle d’acciaio che si collegano alla carreggiata.

Considerata, oggi più che mai, una meraviglia dell’ingegneria, è da anni una delle arterie più trafficate del mondo, con un passaggio di oltre 102 milioni di veicoli l’anno. Sotto l’arco del ponte durante le festività nazionali sventola la bandiera a stelle e strisce più grande al mondo: misura 90 piedi (27 metri) per 60 piedi (18 metri) e pesa 450 libbre (204 kg). Un altro simbolo della New York che, oltre al classico soprannome della città “che non dorme mai”, proietta nel mondo gioielli dell’ingegno nati dal coraggio di progettare e costruire.