Dall’Amazzonia al Tajikistan: i cantieri delle infrastrutture ai confini del mondo

Dalla diga più alta del mondo sull’altopiano del Tajikistan, ai ponti in Alaska, fino alle centrali idroelettriche nell’Amazzonia, i lavori per la costruzione di grandi infrastrutture avanzano anche nei territori più remoti e inospitali.

Esistono luoghi in cui costruire infrastrutture è una sfida con la natura. Deserti ghiacciati, altopiani remoti, giungle impenetrabili, montagne che sfiorano il cielo.

Sono i cantieri ai confini del mondo, dove lo sviluppo infrastrutturale si misura con l’impossibile. Dal Circolo Polare Artico alla foresta amazzonica, dalla Patagonia ai deserti asiatici, qui l’ingegneria non è solo tecnica, ma capacità di adattamento a territori remoti, spesso ostili, luoghi estremi che raccontano storie di uomini e di sfide ingegneristiche.

Servono materiali resistenti, logistica estrema, autosufficienza operativa. Ma serve soprattutto visione: perché costruire in questi luoghi significa aprire nuove vie, connettere territori, generare sviluppo.

Progetti come la diga di Rogun in Tajikistan o la Carretera Austral in Patagonia, così come la diga di GERD, costruita dal Gruppo Webuild in Etiopia sulle acque del Nilo Azzurro (a pochi chilometri dal Sudan), dimostrano che le infrastrutture possono spingersi ovunque, anche dove l’uomo, fino a pochi decenni fa, poteva arrivare solo a piedi o non arrivava affatto.

I cantieri ai confini del mondo sono quindi l’ultima frontiera dell’ingegneria moderna, dove la natura detta le regole, ma l’uomo – con rispetto e intelligenza – cerca di tracciare nuove strade.

Altopiano del Tajikistan: Rogun, la diga più alta del mondo tra le montagne del Pamir

Un esempio emblematico di cantieri ai confini del mondo è quello della diga di Rogun, in Tajikistan, realizzata dal Gruppo Webuild e destinata a diventare la diga in rockfill più alta del mondo. L’imponente opera sarà alta 335 metri e sorgerà lungo il corso del fiume Vakhsh, tra le montagne dell’Asia Centrale, con un clima caratterizzato da inverni gelidi e tempeste estive. Un contesto ancora più complesso perché il Tajikistan è un Paese senza sbocchi sul mare, con una morfologia unica e per questo dotata di un enorme potenziale idroelettrico.

Il cantiere di Rogun è perfettamente inserito in questo contesto naturale. Situato a oltre 1.000 metri di altitudine, è ormai abitato da migliaia di persone impegnate per completare l’opera.

Le condizioni del tempo e della natura sono parte di questo progetto e infatti molte delle operazioni essenziali per la costruzione della diga risentono in maniera sensibile delle condizioni climatiche.

Allo stesso modo complessità elevate derivano dalla logistica, vista la posizione remota del cantiere. L’inizio dei lavori ha richiesto una serie di opere preparatorie come la costruzione di strade di accesso, campi per personale espatriato ed opere di installazione industriali per l’avviamento ed il regolare svolgimento delle attività di progetto.

Uno sforzo considerevole che si spiega però con il valore strategico della diga che, una volta completata, diventerà uno dei più grandi impianti idroelettrici dell’Asia centrale, con una potenza installata pari a 3 reattori nucleari e la possibilità di fornire energia idroelettrica non solo al Tajikistan, ma anche a diversi Paesi della regione. Infatti, l’impianto di Rogun consentirà di raddoppiare la produzione energetica rendendola disponibile a 10 milioni di persone in un paese dove circa il 70% della popolazione è sottoposto a interruzioni di energia elettrica, soprattutto nei mesi invernali.

Alaska: ponti e viadotti sul permafrost

I territori artici sono altrettanto impervi, ma non per questo hanno abdicato all’ambizione di ospitare infrastrutture che possano accelerarne lo sviluppo.

In Alaska, la costruzione di ponti e viadotti sulla Dalton Highway – conosciuta anche con il nome di Alaska Route 11, l’autostrada che collega la Elliott Highway, presso Livengood, e termina ai giacimenti petroliferi di Prudhoe Bay – ha richiesto l’adozione di tecniche ingegneristiche uniche. Le strutture devono infatti essere costruite sul permafrost, il terreno perennemente ghiacciato che rischia di deformarsi al minimo aumento di temperatura.

Per evitare cedimenti, i pilastri delle vie di scorrimento vengono installati su profondi pali di fondazione termicamente isolati, mentre i materiali da costruzione devono resistere a escursioni termiche che vanno dai -40°C ai +25°C.

La costruzione di ponti e viadotti si svolge d’estate, spesso sotto l’occhio curioso degli orsi polari. In inverno, tutto si ferma: il gelo diventa assoluto.

Patagonia: la strada più lunga e difficile

In Cile, un altro cantiere estremo ha dato vita alla Carretera Austral, una strada lunga oltre 1.200 chilometri con un dislivello positivo di oltre 15.000 metri che collega Puerto Montt a Villa O’Higgins, attraversando ghiacciai, fiordi e foreste pluviali della Patagonia.

Voluta dal dittatore Augusto Pinochet per scopi militari, la costruzione di questa arteria è durata decenni, dal 1976 al 1996. Le difficoltà incontrate in fase di costruzione erano legate soprattutto alle caratteristiche morfologiche di questo territorio frammentato e impervio.

Lo scavo di una galleria o la costruzione di un ponte tra i ghiacciai delle Ande e i numerosi laghi e fiumi significa sfidare frane, piogge incessanti e una vegetazione così fitta da dover essere tagliata manualmente.

 Gran parte della strada è sterrata, con tratti asfaltati soggetti costantemente a manutenzione e lavori. Ancora oggi alcune sezioni vengono chiuse nei mesi invernali a causa delle nevicate e delle piene dei fiumi.

La Carretera Austral non è solo un’infrastruttura, ma un filo che tiene insieme comunità isolate, tra natura selvaggia e resilienza.

Amazzonia: costruire dighe e centrali idroelettriche tra gli alberi

Nella foresta amazzonica l’uomo costruisce infrastrutture letteralmente tra gli alberi. In Brasile, la realizzazione di dighe e impianti idroelettrici come quello di Belo Monte sul fiume Xingù è uno dei progetti più impegnativi mai realizzati in un ecosistema così delicato.

I cantieri qui convivono con l’umidità costante, il rischio di malattie tropicali, il trasporto via fiume. Ogni attività nella foresta pluviale è sottoposta a monitoraggio ambientale continuo, per garantire il rispetto delle popolazioni amazzoniche e della biodiversità.

In Amazonia, l’ingegneria deve parlare la lingua della foresta.

Australia: il gasdotto nel deserto

Anche nel deserto australiano l’ingegneria ha raggiunto i suoi limiti e li ha superati. La costruzione del gasdotto Northern Gas Pipeline ha comportato la posa di 662 chilometri di tubazioni in aree completamente disabitate, sotto il sole cocente del Northern Territory.

Per portare avanti il progetto, le maestranze hanno dovuto operare in condizioni di isolamento estremo, con temperature superiori ai 45°C e il rischio costante di tempeste di sabbia.

Lontani da tutto, i materiali arrivavano con convogli speciali, organizzati per affrontare l’isolamento e garantire acqua, carburante, ricambi, sicurezza.