Italia: boom di investimenti, un’occasione da non perdere

Risorse record per le opere pubbliche, la sfida del lavoro e del costo delle materie prime

Italia croce e delizia per le opere pubbliche. Il paese che meglio di molti altri stati europei aveva saputo rispondere alla crisi del Covid-19 con un forte rimbalzo del Pil si trova adesso ad affrontare la sfida della “ricostruzione” in una congiuntura difficile, in bilico tra la possibilità di avere a disposizione fondi e risorse mai visti e l’aumento di costi e incertezza legato alla guerra in Ucraina.

Il dato che più di tutti rincuora – come è stato fotografato nell’ultimo Rapporto Congiunturale del Cresme, uno dei più prestigiosi centri ricerche italiani – è proprio quello degli investimenti nelle opere pubbliche, destinati a tornare nel 2025 ai livelli del 2004, un ventennio prima, quando l’indice delle risorse destinate alle infrastrutture raggiunse un picco storico.

E infatti, secondo le elaborazioni del Cresme sui dati di Istat e del Ministero delle Finanze, gli investimenti nelle costruzioni sono in aumento. Lo scorso anno, infatti, le risorse stanziate sulle opere pubbliche sono aumentate del 21,5% rispetto all’anno precedente. Una crescita che – indica il Cresme – sarà rispettata anche in futuro: nel 2022 gli investimenti dovrebbero crescere ancora del 12,5%, del 22,5% nel 2023 per attestarsi intorno a una crescita del 2,5% nel 2024.

Un vero e proprio boom che servirà per portare a termine quelle grandi opere essenziali per la modernizzazione del paese.

 

Far ripartire le opere: la sfida delle gare aggiudicate

La storia degli investimenti nelle infrastrutture può essere raccontata da due punti di vista: chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Il bicchiere mezzo pieno fotografa l’importo dei bandi di gara, quello mezzo vuoto il valore reale delle aggiudicazioni.

Tra il 2018 e il 2021 la forbice tra queste due voci è stata troppo ampia, a conferma che tra gli annunci e la realtà c’era ancora molta strada da fare. E infatti nel 2018 a fronte di quasi 30 miliardi di euro di bandi pubblicati, le aggiudicazioni si sono fermate a 14 miliardi (meno della metà). Nel 2020 questa distanza ha raggiunto il suo massimo con quasi 40 miliardi di euro di bandi contro 20 miliardi di euro di aggiudicazioni. L’inversione di tendenza si è registrata solo nel 2021 quando, per la prima volta nell’ultimo decennio, il valore delle aggiudicazioni ha superato quello dei bandi (44 miliardi di euro le prime, 39 miliardi i secondi). La questione delle aggiudicazioni è essenziale per misurare l’efficienza della macchina pubblica, la sua capacità di dare seguito ai progetti e soprattutto la reale velocità delle opere messe in cantiere. E proprio il rimbalzo del 2021 racconta in che modo l’Italia abbia cambiato marcia negli ultimi mesi lavorando per imprimere un ritmo nuovo alla costruzione di grandi opere nel paese. Questo e il prossimo anno saranno quindi decisivi per imprimere una svolta reale nella ricostruzione ma anche nell’opera di riqualificazione del patrimonio infrastrutturale del paese.

Far correre i cantieri: la sfida del lavoro

Aggiudicare le gare non basta. Finanziare i progetti neanche. Per completare la realizzazione di grandi opere come il Terzo Valico dei Giovi (l’alta velocità Genova-Milano), la nuova Statale Jonica, l’alta velocità Napoli-Bari o ancora il tunnel ferroviario del Brennero ci vogliono lavoratori, e soprattutto lavoratori specializzati.

Il tema è stato affrontato la scorsa settimana durante l’evento di consegna del Premio Alberto Giovannini. Innovazione e digitalizzazione nelle infrastrutture, promosso dal Gruppo Webuild per assegnare 8 tirocini formativi ad altrettanti giovani laureati italiani e una borsa di dottorato di ricerca aggiudicata dal Politecnico di Torino.

Intervenendo alla consegna del premio, l’economista Francesco Giavazzi, consigliere economico di Palazzo Chigi, ha spiegato: «Webuild ha cercato nei giovani che oggi premia la capacità di non fermarsi alla superficie. Esiste un rapporto tra il Premio, le persone premiate, e quello che il paese sta facendo con il PNRR che punta tanto sui giovani, tanto sull’equilibrio di genere, tanto sull’equilibrio territoriale. E questo Premio riflette l’Italia».

Il “Premio Alberto Giovannini”, istituito per ricordare il defunto Alberto Giovannini, economista ed ex-presidente di Webuild, permetterà agli 8 vincitori di formarsi all’interno del Gruppo. «Il valore principale di questo premio – ha spiegato Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild – è capire che nell’innovazione la prima cosa da affrontare è la paura di cambiare. Le persone che non hanno paura si mettono in discussione e cambiano il futuro perché innovano».

Innovazione e cambiamento saranno due leve fondamentali per la messa a terra dei progetti del PNRR. E proprio la forza lavoro giovane sarà necessaria per far correre i cantieri delle infrastrutture aperti nei prossimi anni. «Dalle università italiane – ha aggiunto Salini – escono 25.000 ingegneri ogni anno, contro i 9 milioni che si laureano in India e gli 8 milioni in Cina. Possiamo colmare questo gap quantitativo solo con la qualità».

Qualità che dovrà però camminare sulle gambe dei giovani ingegneri. «Nei nostri cantieri italiani – ha spiegato l’ad di Webuild – lavoravano 16.000 persone nel 2021, grazie al PNRR diventeranno 53.000 entro il 2026. Servono quindi persone, qualità e volontà».

I giovani diventano così il volano dei progetti del Piano di recovery – PNRR, come ha confermato alla consegna del Premio Giovannini anche il Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini.

«Molta dell’innovazione nelle infrastrutture – ha dichiarato il ministro – va nella direzione della sostenibilità. Rispetto alla nostra, le nuove generazioni hanno incorporato questo sentimento per cui tutto ciò che viene fatto va orientato a una sostenibilità che non è solo economica, ma anche sociale».

Contrastare l’aumento dei prezzi

A parte l’iniezione di forza lavoro qualificata, una questione centrale per il successo del piano di modernizzazione del paese è sicuramente quella dei prezzi, cui il Governo italiano ha dato massima priorità. Non basta infatti la guerra per trovare il responsabile dell’aumento dei prezzi di tantissimi materiali essenziali per la costruzione di grandi opere. Il trend di crescita dei prezzi inizia infatti già dal 2021 e in particolare dal secondo semestre dello scorso anno quando, complice l’inflazione crescente e la ripartenza della domanda globale, i costi delle materie prime sono schizzati.

Secondo le rilevazioni condotte nell’aprile scorso dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili nel secondo semestre del 2021 il prezzo dell’acciaio armonico è aumentato dell’84,41%; quello del ferro, acciaio tondo per cemento armato del 72,25%; quello delle travi laminate in acciaio del 66,47%; e quello dei binari ferroviari del 33,49%.

Tutti i materiali necessari per costruire una grande opera hanno così subito un balzo in avanti, con un conseguente aumento dei costi per gli operatori del mercato e un impatto naturale sull’operatività dei cantieri, tema su cui i governi in tutto il mondo stanno trovando soluzioni. Oggi proprio gli investimenti, la disponibilità di risorse, ma anche il dialogo costante con le istituzioni alla ricerca di soluzioni condivise, possono offrire le uniche soluzioni efficaci per evitare che questi aumenti pregiudichino il rilancio in corso.