Ascoltare la roccia: la sicurezza al primo posto in galleria

Arnold Dix, Presidente della International Tunnelling and Underground Space Association: «Adottiamo standard globali»

Arnold Dix, Presidente dell’International Tunnelling and Underground Space Association (ITA-AITES)

Scienziato, professore di Ingegneria, esperto australiano di underground tunnelling e presidente della International Tunnelling and Underground Space Association (ITA), Arnold Dix è diventato famoso a livello internazionale a novembre scorso quando in India ha aiutato una squadra di soccorso nelle operazioni di salvataggio di 41 minatori intrappolati in un tunnel stradale in costruzione, lo Silkyara-Barkot, crollato per una frana. Dix è stato reclutato dal governo indiano quando i ripetuti tentativi per liberare i minatori venivano vanificati dalle difficili condizioni geologiche del territorio in cui è accaduta la tragedia, lo stato di Uttarakhand particolarmente montuoso. Al termine dell’operazione tutti i minatori sono stati tratti in salvo, un successo che ha fatto il giro del mondo.

Professore Dix, è possibile paragonare questa operazione di salvataggio con le altre alle quali ha partecipato?

«Non avevo mai visto niente di simile prima d’ora. Normalmente, quando si verifica un collasso in un ambiente sotterraneo simile a questo non resta altro che occuparsi del recupero dei corpi e chiedersi: cosa è andato storto, come possiamo evitare che accada di nuovo. Spesso accade anche – e purtroppo – che i corpi senza vita di molte persone rimangano lì intrappolati. In questo caso invece è accaduto qualcosa di molto diverso che ha ulteriormente aumentato l’ansia che stavamo tutti vivendo… perché invece di gestire un disastro ci siamo messi al lavoro per assicurare un salvataggio. Quindi, consapevoli che normalmente salvataggi del genere falliscono, ci siamo trovati di fronte a una sfida – anche mentale – enorme».

Quali insegnamenti si possono trarre da questa esperienza?

«Dobbiamo impegnarci tutti nel ricordare che non si è ancora in grado di sostenere la massa di una montagna. Quindi, la nostra ingegneria deve sempre essere improntata alla ricerca della soluzione migliore per creare un ambiente stabile all’interno di una montagna incredibilmente massiccia. E penso che tenere questo a mente sia estremamente importante».

Ci sono segnali che possiamo considerare come avvertimenti?

«Io mi sono formato in una scuola di geologia che era anche una scuola mineraria… E nella nostra formazione, così come nel lavoro che ho svolto da studente universitario, i minatori esperti dicevano sempre: “Ascolta la roccia“. Tutto ciò significa – letteralmente – che quando sei sottoterra bisogna mettere la mano sulla roccia, sentirla, prendere del tempo per sentirne il movimento.

In Silkyara ho trascorso molto tempo sottoterra avvicinandomi alla zona della frana, e poggiando letteralmente le mani su di essa, sui chiodi da roccia, spingendomi contro il muro. Ѐ stato un modo per sentire cosa stesse succedendo alla montagna perché ci trovavamo nel mezzo di una catastrofica sequenza di valanghe di sassi. E sopra la zona della valanga stessa si era persino formata una grande caverna pertanto ho cercato di valutare la possibilità che quest’ultima potesse crollare sulle nostre teste».

Nonostante la rarità di questi incidenti, mai abbassare la guardia sulla sicurezza, quindi?

«È sicuramente una delle grandi lezioni apprese anche in questa storia. Siamo diventati molto bravi con la tecnologia – come quella per l’analisi del terreno –, con la meccanizzazione e la modellazione, abbiamo metodi precisi… Quindi ci stiamo spostando sempre di più verso quella “convinzione” industriale o quasi postindustriale che ci porta a dire: “Abbiamo domato la natura”. Tuttavia, penso che siano essenziali tanto l’umiltà quanto una sorta di ritorno alle origini e chiedersi: “C’è qualcosa che non va? C’è qualcosa che sembra sbagliato?”. Quando non va secondo i piani, fai un respiro e pensa: “Il nostro modello potrebbe essere sbagliato? Potrebbe esserci qualcosa di fondamentalmente sbagliato nelle nostre convinzioni su queste attività specifiche?”. E credo che questa sia una delle grandi lezioni che abbiamo imparato in questa storia».

Possiamo quindi provare a controllare il rischio, ma questo esiste sempre…

«Questo settore prevede sempre l’analisi del rischio. Il rischio rientra nell’intervallo previsto? Lo stiamo gestendo ragionevolmente al punto in cui ci troviamo? E naturalmente anche questo varia da paese a paese».

Cosa si può fare per minimizzare i rischi e migliorare la sicurezza in galleria?

«Penso che la nostra grande opportunità oggi sia stabilire alcuni criteri di base per la forza lavoro. Ad esempio, se è necessario realizzare un certo tipo di calcestruzzo dovremo assicurarci che ci sia quella competenza specifica per questo tipo di attività. In sostanza penso per chi lavora in questo settore debbano esserci determinate competenze ed è qualcosa che stiamo esaminando con la International Tunnelling and Underground Space Association. Di questo ce ne stavamo occupando già prima dell’incidente accaduto a Silkyara: vogliamo stabilire requisiti globali minimi di competenza».

Secondo lei dovrebbero quindi essere adottati anche standard globali di sicurezza?

«La cosa importante è la formazione di chi lavora in questo settore. Ma considerato che modelli e tecniche formative possono variare da paese a paese, auspico intanto si possa giungere a stabilire anzitutto standard globali per garantire un livello base di competenza. E di questo ho già discusso con alcuni governi. Ad esempio, all’India ho detto: “Se riesco a fornirvi alcuni requisiti minimi di competenza riconosciuti e certificati dalla International Tunnelling and Underground Space Association potreste investire sulla formazione in giro per il paese affinché i vostri operai acquisiscano le competenze necessarie?”. E loro sono stati d’accordo. Ho chiesto poi loro: “Potreste – come clienti – stabilire d’obbligo nei vostri contratti che ci siano tali competenze in modo che gli appaltatori sappiano in anticipo che uno dei requisiti è disporre di forza lavoro certificata?”. Si tratta quindi di allineare l’intera catena produttiva al fine di raggiungere un risultato di miglior qualità».