Crisi idrica, a rischio il 18% del Pil italiano

Impianti di trattamento, dighe e reti idriche essenziali per proteggere l’acqua ed evitare la crisi economica

Un quinto della ricchezza prodotta ogni anno in Italia è a rischio. Nel dettaglio il 18% del Pil italiano, pari a 320 miliardi di euro. Un rischio reale legato all’evoluzione drammatica dell’emergenza idrica, un fenomeno che – dalle siccità alle alluvioni – colpisce ormai in tutte le stagioni e può essere arginato solo attraverso investimenti e modernizzazione delle infrastrutture.

L’allarme è stato lanciato da The European House – Ambrosetti all’interno del Libro Bianco 2023 dal titolo “Valore Acqua per l’Italia”, e proprio il valore economico che l’acqua rappresenta per il paese è stato calcolato nello studio per analizzare nel dettaglio l’importanza e il ruolo delle infrastrutture idriche.

Siano esse impianti di gestione delle acque reflue, essenziali ad esempio per i corsi d’acqua cittadini, impianti idroelettrici per la produzione di energia pulita, dighe per una efficiente gestione idrica o ancora tubature dove corre l’acqua potabile che arriva nelle case, le infrastrutture sono essenziali per evitare che i cambiamenti atmosferici e i loro effetti sull’acqua abbiano un impatto devastante sull’economia.

Crisi idrica: i rischi per l’economia e gli investimenti da fare

Le grandinate e le piogge violente degli ultimi giorni di marzo hanno mostrato i danni che i cambiamenti atmosferici possono arrecare all’economia, a cominciare dall’agricoltura.

Allo stesso modo la siccità prolungata mette a rischio le coltivazioni, riducendo in modo drastico la quantità di acqua disponibile.

In Italia l’acqua è una risorsa fondamentale per 1,5 milioni di imprese agricole, oltre a 330mila imprese manifatturiere definite idrovore proprio per i loro consumi elevati. Nel 2021 il ciclo esteso dell’acqua, quindi l’industria collegata a questa risorsa, ha generato un valore aggiunto di 9,4 miliardi di euro, quanto quello dell’industria farmaceutica e il doppio dell’abbigliamento. Questo conferma quanto importanti siano gli investimenti per preservare l’attività di un settore così strategico per l’economia italiane. Tra questi anche quelli nella tecnologia dissalazione, che permette di creare acqua potabile dall’acqua del mare, una tecnica in cui è leader la società del Gruppo Webuild Fisia Italimpianti, che oggi ha raggiunto i 4 milioni di metri cubi al giorno di acqua trattata servendo oltre 20 milioni di persone.

Italia, tutte le infrastrutture da ricostruire

Proteggere l’acqua e con essa proteggere il benessere economico e sociale della popolazione è possibile solo investendo maggiormente nelle infrastrutture idriche e nella loro transizione verso soluzioni smart e digitali. È questo il risultato cui arriva lo Studio Ambrosetti dopo aver messo in fila i dati più significativi che fotografano la crisi del sistema. Secondo l’analisi il 25% delle reti idriche italiane ha più di 25 anni e il loro tasso di sostituzione è di appena 3,8 metri per chilometro all’anno. Proseguendo con questa velocità – spiega il rapporto – ci vorranno 250 anni per la manutenzione completa della rete.

Oltre al tema delle infrastrutture fisiche c’è anche un tema di modernizzazione degli strumenti di controllo dell’acqua. Il 50% dei contatori idrici presenti nelle case degli italiani ha più di 20 anni, mentre i contatori intelligenti (quelli di nuova generazione) rappresentano appena il 4% del totale, 12 volte in meno della media europea.

Il rapporto spiega ancora che se tutte le abitazioni fossero dotate di contatori intelligenti si potrebbero risparmiare ogni anno fino a 2,4 miliardi di euro, riducendo di 513,3 milioni di metri cubi la richiesta di acqua (pari a circa il 10% dei consumi idrici annuali).

Per Valerio De Molli, managing partner e ceo di The European House – Ambrosetti non ci sono dubbi: «Le condizioni infrastrutturali della filiera dell’acqua italiana –– e la crescente pressione sulla risorsa idrica resa drammatica dagli effetti del cambiamento climatico ci impongono un cambio di paradigma: il passaggio a una gestione circolare della risorsa idrica».

Acque reflue, il riutilizzo che non c’è

Gestire in modo circolare la risorsa idrica significa prima di tutto riutilizzare l’acqua, soprattutto quelle reflue ovvero quelle raccolte dalle grandi piogge oppure dagli scarichi cittadini. L’esempio viene dato da alcune grandi metropoli mondiali come Buenos Aires o Washington D.C. dove il Gruppo Webuild ha realizzato innovativi impianti per trattare e riutilizzare le acque reflue dei grandi fiumi, come il Riachuelo nella capitale argentina e il Potomac in quella statunitense.

In Italia deve essere ancora fatto molto in tema di riutilizzo delle acque reflue. Attualmente il paese recupera appena l’11% delle cosiddette acque meteoriche che cadono con le precipitazioni e 1,3 milioni di cittadini, concentrati soprattutto al Sud, non possono accedere a un sistema di depurazione di queste acque. Nel complesso appena il 4% delle acque reflue prodotte in Italia è destinato al riutilizzo diretto, a fronte di un potenziale del 23%. Troppo poco soprattutto se si considera che gli italiani consumano acqua più di tutti gli altri abitanti nell’Unione europea.

Con oltre 9 miliardi di metri cubi l’anno, l’Italia occupa il primo posto nella UE per acqua utilizzata per scopi civili, raggiungendo una media di 220 litri al giorno per abitante.

Gli investimenti sono quindi necessari. La Commissione europea e l’Ocse hanno stimato che entro il 2030 il continente dovrà investire 300 miliardi di euro, l’unico modo per rendere efficienti le infrastrutture e proteggere davvero una risorsa tanto preziosa.