Le infrastrutture che salveranno l’America Latina

Dopo l’inaugurazione del nuovo Canale di Panama il continente sudamericano ha bisogno di tornare a investire nelle infrastrutture

Dopo l’inaugurazione del nuovo Canale di Panama il continente sudamericano ha bisogno di tornare a investire nelle infrastrutture

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Tra la Panamericana, l’autostrada che da Prudhoe Bay in Alaska arriva a Ushuaia in Argentina, e il nuovo canale di Panama ci sono oltre cinquant’anni di storia delle infrastrutture in un continente che ha un disperato bisogno di grandi opere per uscire da una crisi economica che – per via degli effetti del Coronavirus – rischia di diventare endemica.

La Economic Commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC) stima che la recessione dovuta al Coronavirus possa far precipitare nella povertà 35 milioni di persone, rispetto a una popolazione totale di 620 milioni. Un impoverimento legato a doppio filo alla produzione di ricchezza generale, che si rifletterà sul Pil – secondo il Fondo Monetario Internazionale – destinato a toccare il -1,8% nel 2020.

L’inaugurazione nel 2016 del nuovo Canale di Panama, opera unica nel suo genere realizzata da Salini Impregilo e infrastruttura simbolo di un continente intero, non è stata seguita dal lancio di progetti altrettanto ambiziosi, a parte alcuni casi sporadici.

Progetti che – secondo molte organizzazioni internazionali, a partire dalla Inter-American Development Bank – sono necessari per far ripartire i paesi dell’America Latina, strade maestre per invertire questa tendenza e uscire dalla depressione economica.

Più investimenti nelle infrastrutture dell’America Latina

I paesi del Sud America potrebbero perdere in media il 15% del loro Pil nei prossimi dieci anni se non invertiranno la rotta nelle politiche di investimenti destinati alle infrastrutture.

Questo dato, elaborato dalla Inter-American Development Bank (IDB), accende un campanello d’allarme sul continente, i suoi ritardi in termini di sviluppo infrastrutturale, e l’impatto che questi ritardi stanno avendo e avranno sul benessere dei cittadini nei prossimi anni.

Un allarme condiviso anche dal World Economic Forum che ha indicato il Sud America come la seconda peggiore regione del mondo per qualità delle sue infrastrutture davanti solo all’Africa Sub-Sahariana.

Per capire quanto ancora sia indietro nella partita degli investimenti è sufficiente guardare ai numeri: secondo un’analisi dell’Ispi dal titolo “Latin America: Moving on From Low-Quality and Inefficient Infrastructure Investment”, tra il 2008 e il 2017 nel continente sono stati spesi per le infrastrutture 1 trilione di dollari Usa, in media 180 dollari l’anno pro-capite. Troppo poco per un territorio così vasto, dove insistono alcune delle più grandi megacity al mondo.

La Inter-American Development Bank ha calcolato a questo proposito il gap infrastrutturale del continente in 150 miliardi di dollari Usa all’anno, una cifra pari al 2,5% del Pil continentale.

Ad oggi infatti la quota di investimenti nel settore si aggira intorno al 2,8 del Pil, mentre molti studi internazionali indicano che per colmare il gap esistente i paesi dovrebbero destinare a questo settore una cifra che oscilla tra il 4 e il 7% del prodotto interno lordo complessivo.

Campo Grande, Brasile

La strada delle infrastrutture sostenibili in America Latina

Tornare a crescere, evitare che strati sempre più ampi della popolazione si impoveriscano, offrire città più vivibili per i loro abitanti, sono tutti imperativi per il Sud America che si sposano con un’altra esigenza sempre più diffusa: la creazione di infrastrutture sostenibili, che riducano l’inquinamento e l’impatto sull’ambiente.

La Inter-American Development Bank e la società di consulenza Mercer hanno mappato alcuni dei più importanti progetti infrastrutturali lanciati negli ultimi 3 anni in Sud America, scoprendo che sono oggi disponibili 300 miliardi di dollari americani per lo sviluppo di questi progetti, caratterizzati da un’impronta sostenibile.

Parliamo ad esempio del Projecto Crescer del Brasile, che prevede la costruzione di nuove reti ferroviarie o ancora del Fondo de Infraestructura del Cile, un fondo istituito per sostenere lo sviluppo della mobilità sostenibile.

In realtà, i grandi progetti miliardari si contano sulle dita di una mano. L’acquedotto Reguemos del Cile, la ferrovia trans-oceanica che dovrebbe collegare Bolivia, Brasile, Paraguay e Perù, il corridoio interoceanico del Guatemala (che vorrebbe fare concorrenza proprio al canale di Panama), il treno Maya del Messico e la metro di Bogotà in Colombia.

La rinascita delle grandi città, l’incremento dei collegamenti strategici tra gli stati e con il commercio marittimo, hanno bisogno di un nuovo piano di grandi opere, sul quale sembra oggi sempre più determinante il ruolo dei privati.

Il ruolo dei privati

Guardando alla situazione geopolitica attuale del Sud America è evidente che il pubblico, da solo, non è in grado di rispondere al bisogno di investimenti della regione.

Storicamente gli investitori privati hanno sempre mostrato un interesse in questa regione del mondo. Secondo uno studio dell’Ispi, che nei giorni scorsi ha dedicato un approfondimento proprio allo sviluppo infrastrutturale del Sud America, dal 1990 ad oggi i privati hanno contribuito allo sviluppo del settore investendo in Sud America 700 miliardi di dollari, contro i 429 miliardi di investimenti privati registrati nei paesi dell’Est asiatico e del Pacifico, e i 73 miliardi finiti ai paesi dell’Africa Sub-Sahariana.

In definitiva, tra le economie in via di sviluppo, gli investitori prediligono quelle sudamericane.

Anche tra il 2008 e il 2017, rispetto a trilione di dollari spesi sulle infrastrutture, il 20% faceva capo a investimenti privati.

Una propensione che però coinvolge anche gli investitori istituzionali. Sempre secondo l’Ispi nel mondo oggi questi investitori gestiscono un patrimonio complessivo di 85 trilioni di dollari, solo 3 dei quali sono stati investiti nell’America latina. E di questi 3 trilioni, meno dell’1% è stato destinato allo sviluppo di progetti infrastrutturali.

Convincere gli investitori istituzionali e accrescere il ruolo dei finanziatori privati, già oggi interessati a investire in Sud America, è la sfida del futuro. Una sfida che potrà essere vinta solo cambiando alcune caratteristiche dei mercati di riferimento, quindi riducendo le lungaggini burocratiche, rendendo più trasparenti le procedure di assegnazione degli appalti pubblici, migliorando più in generale le condizioni dell’ambiente macroeconomico in cui gli investitori sono chiamati a investire.