L’epopea del Mose, l’infrastruttura che ferma l’alta marea a Venezia

Dalle critiche al successo: l’epopea del Mose di Venezia, l’infrastruttura che ha salvato la città più bella e fragile del mondo dall’alta marea.

Nessuno ci credeva più. Per anni il Mose di Venezia è stato sinonimo di dibattiti, scontri, ritardi e attese che sembravano infinite. Un progetto giudicato da molti inutile, dannoso, perfino pericoloso per l’equilibrio della laguna veneta.

Eppure, quel sistema di 78 paratoie gialle, installate alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, oggi tiene all’asciutto la città più bella e fragile del mondo. Da quando è entrato in funzione, il Mose ha protetto Venezia decine di volte, respingendo l’alta marea che in passato avrebbero allagato calli, piazze, chiese e musei. È il paradosso di un’opera nata sotto le critiche e diventata il simbolo di una salvezza concreta.

Venezia: la città e l’acqua alta, un legame antico e pericoloso

Venezia è nata sull’acqua e nell’acqua ha costruito il proprio destino. Ma quel destino si è trasformato, negli ultimi decenni, in un incubo sempre più frequente. Il 4 novembre del 1966 la città si svegliò sommersa da quasi due metri d’acqua alta. Una marea di 194 centimetri, la più alta della storia, che travolse tutto: chiese, palazzi, negozi, archivi.

Fu allora che l’Italia capì che la sopravvivenza della Serenissima non era più garantita. La laguna di Venezia si stava abbassando a causa della subsidenza, mentre il livello del mare stava crescendo, e ogni anno il rischio di una nuova catastrofe si faceva più vicino.

Nacque così l’idea di difendere la città con una barriera mobile capace di isolare la laguna veneta dal mare. Un’idea che all’epoca sembrava fantascienza e che alcuni anni dopo prese il nome di Mose, acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico, ma anche riferimento biblico a Mosè, l’uomo che ispirato dalla potenza di Dio, separò le acque.

Il principio era semplice e rivoluzionario insieme: costruire alle tre bocche di porto una serie di paratoie capaci di sollevarsi solo in caso di alta marea, bloccando il mare e proteggendo la città.

Mose di Venezia: un sogno ingegneristico oltre le polemiche

Quando nei primi anni Duemila i cantieri si aprirono, il Mose di Venezia divenne subito un caso nazionale. Gli ambientalisti lo accusarono di alterare l’equilibrio della laguna, i tecnici lo giudicarono un’opera obsoleta, i politici si divisero tra sostenitori e detrattori.

Le prime paratoie furono installate nel 2003, ma la città rimaneva divisa. A pesare, più di tutto, erano i costi: 5,5 miliardi di euro nella stima iniziale, diventati oltre 6 miliardi al termine dei lavori. A questi si aggiungevano le spese di manutenzione e gestione, con previsioni da centinaia di milioni ogni decennio.

Poi arrivarono le inchieste giudiziarie. Nel 2014, l’operazione “Mose” della Guardia di Finanza scoperchiò un sistema di tangenti, appalti truccati e fondi neri che travolse dirigenti, imprenditori e politici. Il Consorzio Venezia Nuova, incaricato della costruzione, venne commissariato, decine di persone arrestate o indagate. Per molti, fu la condanna definitiva del progetto. «Un monumento allo spreco», lo definirono i giornali. «Un fallimento», sentenziarono gli ambientalisti.

Eppure, nonostante tutto, il Mose andò avanti. Lentamente, tra commissariamenti e revisioni, le paratoie vennero completate, i test ripresero, i sistemi di controllo furono aggiornati. Lo Stato scelse di non abbandonare l’opera perché, nel frattempo, Venezia continuava a sprofondare e il mare a salire.

Un’infrastruttura grandiosa alla prova degli scettici

Il Mose è un’infrastruttura senza eguali: 78 paratoie in acciaio incernierate al fondale, lunghe fino a 30 metri e pesanti fino a 350 tonnellate ciascuna, che restano normalmente adagiate nei loro cassoni.

Quando la marea a Venezia supera i 110 centimetri, vengono svuotate d’acqua e riempite d’aria compressa. In questo modo le paratoie diventano più leggere, ruotano e si sollevano, creando una barriera che chiude le bocche di porto e separa la laguna veneta dal mare. Quando l’acqua alta si ritira, le paratoie tornano giù, invisibili sotto il livello dell’acqua.

Un sistema tanto semplice nella teoria, quanto complesso nella pratica. Le sfide tecniche erano immense, perché bisognava garantire la tenuta delle cerniere, prevenire la corrosione, coordinare il sollevamento simultaneo di decine di paratoie in tre punti diversi della laguna di Venezia. Nonostante le complessità, il progetto ingegneristico resisteva, anche contro le accuse di chi sosteneva che “non avrebbe mai funzionato”.

Alta marea a Venezia: il giorno in cui la Serenissima rimase all’asciutto

Il 12 novembre 2019 la Serenissima visse una delle sue notti più tragiche. L’acqua alta a Venezia raggiunse i 187 centimetri e la città venne inondata dal mare. Piazza San Marco fu completamente sommersa, le botteghe distrutte, la Basilica invasa da un mare torbido.

Meno di un anno dopo, il 3 ottobre 2020, arrivò la prova del fuoco. Una nuova alta marea eccezionale minacciava la città, e per la prima volta tutte le paratoie del Mose vennero sollevate. Mentre fuori, nell’Adriatico, il livello del mare superava il metro e mezzo, dentro la laguna veneta le calli rimanevano asciutte. «È un giorno storico», titolarono i giornali. «Venezia è salva».

Da allora, il Mose si è sollevato decine di volte. Nel solo 2024 ha protetto la città in oltre trenta occasioni, evitando danni economici stimati tra 200 e 400 milioni di euro l’anno. Le stesse alte maree che un tempo avrebbero paralizzato la città oggi passano inosservate.

Mose: dal fallimento alla salvezza

Come il Golden Gate Bridge, che circa un secolo fa i suoi detrattori giudicavano impossibile da costruire, anche il Mose di Venezia è passato attraverso diffidenze, processi e ostacoli apparentemente insormontabili.

Entrambe le opere hanno attraversato tempeste morali e fisiche per arrivare a esistere. E come accadde a San Francisco nel 1937, anche a Venezia, nel 2020, il giorno dell’inaugurazione non è stato soltanto l’apertura di un’infrastruttura, ma la dimostrazione che l’impossibile può diventare necessario. Venezia vive ancora, sospesa sull’acqua, perché qualcuno – nonostante tutto – non si è arreso all’idea che “non lo costruiranno mai”.